sabato 31 dicembre 2011

Lettera di Capodanno a Babbo Natale

Ok, eccoci qui. Ultima sera dell'anno. Bilancino. Ho cominciato quest'anno studentessa, lo finisco praticante. L'ho iniziato fidanzata, lo finisco single. L'ho iniziato con i capelli lunghi, lo finisco con i capelli corti. Ma il bilancino, devo dire, che è tutto sommato positivo. Al di là della laurea (che comunque son soddisfazioni...) ho tutta una serie di positività da annoverare in questo veloce 2011 (che poi "veloce" 2011 è come dire "breve minuto"...un anno dura sempre un anno come un minuto dura sempre un minuto).
Va beh. Questa è la sera in cui, in teoria, tutte le cose vecchie si buttano dalla finestra (più o meno metaforicamente) per fare posto a quelle nuove. Questa è la sera in cui si fanno mille propositi da mantenere nell'anno nuovo. Ecco. A parte il fatto che di solito io mantengo tutto tranne i propositi di Capodanno (che sono sempre gli stessi: studiare di più, ma soprattutto andare in palestra e perdere qualche chilo. Si. Dai da domani sul serio. No dai, sul serio. Mai fatto), trovo che la festa in sè sia veramente un'idiozia. La classica serata in cui si fa di tutto per divertirsi ma a divertirsi davvero non ci riesce nessuno. E bisogna per forza organizzare qualcosa, e ci si fanno delle grandi aspettative di cambiamento: da domani tutto diverso! Evviva l'anno nuovo! Buon anno! E giù baci a gente che non hai mai visto prima, e brindisi, e sorrisi, e lenticchie. Per quanto mi riguarda lo spirito del Capodanno è pefettamente descritto dal buon Paolo Villaggio in Fantozzi. Quella scena in cui lui, la piccola Mariangela e la Pina vanno alla cena aziendale. Decorazioni pacchiane in un freddo seminterrato, un tristissimo complessino (che per di più anticipa la mezzanotte perchè ha un altro ingaggio), la flebile speranza di fare colpo sulla Signorina Silvani più indifferente che mai e una convivialità forzata e finta, obbligata e forzosa, come la pettinatura della Pina: poco naturale e palesemente "fatta apposta".
Ma tralasciando le mie considerazioni sul Capodanno che, a dire il vero, ho sempre trascorso in montagna, a mangiare ottime specialità altoatesine, leggendo, giocando a carte e andando a dormire a mezzanotte e cinque dopo aver trascorso la giornata chiusa in sauna (massima goduria), credo che questa notte non butterò nulla dalla finestra. Cioè, ovviamente non avrei buttato nulla letteralmente. Ma credo che nemmeno metaforicamente vorrei buttare qualcosa. Se mai ci sono delle cose che mi piacerebbe trovare in questo 2012 (che, stando ai Maya e a Mistero, dovrebbe anche durare meno del solito, visto che le minacce si dovrebbero realizzare il 21 dicembre), magari avrei dovuto inserirle nella letterina a Babbo Natale... Va beh ce le metto adesso:
Caro Babbo Natale,
Come va? Andate bene le ferie? Io ho iniziato a lavorare da un mese e son già stanca..figurati che c'è anche chi mi ha detto che ho la sindrome del praticante (una misteriosa forma epidemica che colpisce i neopraticanti i quali, colpiti da nuovi ritmi e nuovi stress cadrebbero malati ogni tot regolarmente).
Va beh Babbo. Bando alle ciance e passiamo alla ciccia. Cosa vorrei per l'anno prossimo...mmmmm. Innanzitutto vorrei il tempo. Ma questa è una richiesta utopica che fanno bene o male tutti e nessuno viene mai accontentato. Allora diciamo che vorrei una leggera riduzione della dose di sfiga assegnatami. Giusto un pò meno...Quel tanto che basta per fare in modo che il giorno che devo andare da qualche parte non ci sia lo sciopero generale dei treni. Almeno qualche volta. Poi vorrei un pò più di impegno. Per me intendo. Nel senso che vorrei la capacità di impegnarmi un pò di più nelle cose, in generale, non solo in quelle che mi piacciono. E un pò di costanza anche. In coordinato. Poi...poi...poi vorrei...va beh...vorrei. E ci siamo capiti.

domenica 18 dicembre 2011

Felicità: un bicchiere di vino con un panino

L'altro giorno camminavo tranquillamente per i fatti miei andando in studio, quando un signore sulla sessantina mi ha fermata e mi ha messo in mano un depliant chiedendomi di leggerlo più tardi, con calma.
Li conosciamo tutti, sono i Testimoni di Geova, che consegnano i loro Vangeli e i loro opuscoli. Il signore mi ha porto l'opuscolo così gentilmente che non ho avuto cuore di sbolognarlo malamente povero, così l'ho preso, ho sorriso e ho detto: "lo leggerò, grazie!". Ecco, l'ultima volta mi avevano dato un libretto sulla musica che non dovrei ascoltare (o far ascoltare ai miei figli), praticamente tutta eccetto il "Gloria in excelsis".. Stavolta invece l'indottrinamento verteva sulla famiglia. In particolare mi ha colpita la prima frase dell'opuscolino: "Vuoi anche tu avere una famiglia felice come quelle che vedi in queste fotografie?". Nelle foto c'erano padri che prendevano in braccio pargoli biondi, pic nic, cani, mamme con 54 denti di sorriso, perfettamente pettinate e vestite, con tre fanciulli sorridenti anch'essi, mancava il Mulino Bianco sullo sfondo insomma (ma forse era un simbolo peccaminoso...) beh, ci siamo capiti. Mi sono chiesta: "Voglio anche io una famiglia come quella delle foto"? Beh, si. Perche non dovrei volere una famiglia felice, dei figli, un cane e dei bei capelli? Allora ho continuato a leggere per sapere quale grande segreto si cela dietro tanta gioia. Ovviamente la lettura assidua della Bibbia, dove c'è esplicitamente scritto che Dio ha creato la famiglia perchè sia felice etc etc...
Ecco.
L'altro giorno discutevo amabilmente del nuovo trailer del grande Maccio (L'italiano medio) e del perchè non sia consigliabile prendere una pasticca simile. Sostenevo che, dopo aver visto la differenza, è assolutamente preferibile la consapevolezza. Si, perchè una volta presa consapevolezza delle cose che ci circondano, come si può scegliere (consapevolmente) di ridursi in quello stato? Poi mi hanno chiesto come fanno a vivere i gieffini e quelli come loro, nella più assoluta e ingenua inconsapevolezza. Beh vivono così, senza meta, dispersi, perchè non sanno che c'è altro, quindi vivono bene!
E TAAAC! Lì ti volevo Franci! Questi vivono bene! L'opuscolo che mi hanno dato i Testimoni di Geova è un pò come la pillola di Maccio! Un passe par tout verso l'inconsapevolezza. Scelgo di ignorare tutto quello che so, mi imbottisco il cervello per non pensare, e vivo bene! Vivo felice! Eccerto! Ecco il segreto della felicità! La pillola di Maccio o la conversione ai Testimoni di Geova. Scegliete...
Che poi a pensarci bene sia la pillola magica sia la fede in Geova (o altro) non è propriamente inconsapevolezza, ma frutto di una scelta. Voglio dire..se spegnessi tutte le vocine del mio cervello e iniziassi a frequentare, che so, i Testimoni con una certa convinzione, troverei probabilmente un uomo buono, colto, che le corna nn sa neanche dove stanno di casa, che vuole tanti figli biondi e sorridenti. E cosa vuoi di più dalla vita, Franci, un Amaro Lucano? No, l'amaro anche no.. però, per quanto l'inconsapevolezza sia un bel miraggio di felicità (e chissà che tra un pò non scelga questa via), il mio istinto mi dice che è preferibile che il mio cervello funzioni. D'altronde come diceva non mi ricordo chi, bisogna essere intelligenti per fingersi stupidi, non può essere il contrario. Preferisco capire piuttosto che non pormi il problema. Anche se la maggior parte delle volte fa più male cosi. E non so ancora bene perchè sia preferibile capire e soffrire. Probabilmente lo capirò più avanti, quando l'aver capito mi tornerà utile. Speriamo, se no scoprirò che avevano ragione i Gieffini! E oltre il danno pure la beffa!

lunedì 5 dicembre 2011

Non piangiamo sul marketing versato

Alleluja Alleluja!! Barlumi di speranza per il cinema italiano. Diciamolo piano, sottovoce, ma sembra che qualcosa si stia muovendo. I mean, abbiamo fatto un periodo di vero decadimento ma a quanto sembra le vacche magre sono finite e c'è una ripresa in atto (almeno quello...). Mentre Fabio Volo si destreggia nel rendimento cinematografico del suo romanzo più riuscito (che rimane "Il giorno in più", nonostante le ultime uscite editoriali..e ho detto tutto), Ficarra e Picone mi sorprendono ancora una volta (come le altre due, sempre all'altezza). Ma andiamo con ordine.
L'altro giorno sono andata a vedere, magno cum gaudio, "Il giorno in più". Allora. Diciamo che la storia è "liberamente tratta" dal libro e di questo bisogna essere molto consapevoli. Accettata questa premessa ci si può approcciare con piacere e gusto ad un'oretta e mezza di buon cinema leggero, un pò comico, un pò introspettivo, poco pretenzioso, molto alla mano, ruspante e rustico, quotidiano, proprio come piace a me. Diciamo che il buon Fabio (lo chiamo in causa anche se non è il regista perchè, in fondo, la sceneggiatura è farina del suo sacco) poteva risparmiarsi un paio di uscite alla "Serendipity" (bel film ma, appunto, l'abbiamo già visto), un finale un pò scontato e poteva anche evitare di rinunciare a tutte le belle cose che aveva voluto trasmettere con il libro, tutti quei bei concetti che mi piacevano tanto e che mi trovavano tanto d'accordo, e che mi chiedevo come sarebbero stati resi sullo schermo e come avrebbe reagito il pubblico. Ecco. Problema risolto e buone intenzioni stroncate sul nascere.
Per quanto riguarda "Anche se è amore non si vede" commento tutto positivo. D'altronde, precedenti eccellenti esclusi (mi riferisco ovviamente ad Aldo Giovanni e Giacomo), nessun gruppo comico è mai riuscito a dare al cinema la stessa qualità data a Zelig (o equivalenti). Invece Ficarra e Picone mi sono sempre piaciuti molto di più al cinema, sia ne "il 7 e l'8" sia ne "La matassa". E anche qui ho trovato una innocenza paragonabile a quella di "Arrivano i gatti", una sorta di teatrino dell'assurdo che sorprende per il suo candore senza essere mai banale, condito con un numero di battute, tutte riuscite, adeguato e leggero. La storia è semplice, ma le caratterizzazioni sono ben riuscite, dalla guida russa sexy e un pò scema, all'innamorato contornato da cuoricini. Nonostante la presenza di numerosi personaggi da "commedia dell'arte", nessuno cade mai nel tranello del proprio stereotipo, evitandoci la solita solfa (qualcosa mi dice che la suddetta solfa ritornerà sui nostri schermi con il prossimo cinepanettone...). Le ambientazioni sono pervase da un gusto anni '90 che ho apprezzato molto (come anche il linguaggio pulito, che non è così scontato). Unico scivolone (che mi ha fatto un pò tristezza, a dire il vero) la scena del neosposo che si fa la gnoccona nel bagno durante il banchetto di nozze...ecco quella si poteva veramente tagliare che tanto non ci perdevamo niente (anche perchè in un film con un messaggio talmente positivo che anche l'happy ending non stona, questo fulmine di pessimismo matrimoniale sta veramente male).
E se ci sono speranze di ripresa per il cinema nostrano non può dirsi lo stesso per la nostra televisione. Ormai in tv piangono tutti! Dai reclusi del Grande Fratello ai postini di Cè posta per te, finanche addirittura alla Sig.ra Ministra. Neanche le avessero recapitato un messaggio dal figlio in puro stile reality (che ormai, non so se avete notato, ma i piagnistei sono preventivi: uno riceve una busta, non sa cosa c'è dentro, ma per non saper nè leggere nè scrivere, piange), neanche le avessero comunicato la morte del gatto in diretta, neanche le avessero dimezzato il vitalizio. Sig. Ra Ministra, ero così contenta che il Governo, stavolta, avesse ben tre rappresentanze femminili di un certo rilievo (e che non avessero fatto calendari). Ho pensato: finalmente tre esempi di donne forti, come si usa dire "con le palle", finalmente potremmo mettere a tacere le maldicenze sulle donne preda dei propri ormoni e delle proprie lacrime!
Ecco. Ora, non voglio entrare nel merito dell'emotività di nessuno, però un minimo di credibilità cerchiamo di darcela anche noi. Posso capire che la situazione non era delle più allegre, ma se anche la Ministra piange sarà dura far ingoiare a tutti l'ennesima pillola. Perchè nonostante questo catastrofismo imperante, sono sicura che se qualcuno dimostrasse di crederci un minimo sarebbe più facile per tutti. Certo, la lacrima facile non aiuta, anche perchè, dai, è davvero poco credibile! Fa tanto C'è posta per te, appunto! Sembra messa lì, servita su un piatto d'argento per i giornalisti, e infatti stamattina la prima pagina del Corriere on line era per le lacrime della Ministra, non certo per la riforma delle pensioni! Ma....aspetta aspetta...che fosse una scelta di marketing?!

lunedì 28 novembre 2011

Cinericetta

Ultimamente deve esserci la moda dei film riciclo. Si, quella moda lanciata da Avatar di non sbattersi troppo per girare un film. In fondo basta prendere un pò di questo, un pò di quello, shakerare e si ottiene... qualcosa che non è nè questo nè quello. Nè carne nè pesce. d'altronde, comedicevo ieri sera, il vino vecchio sta nella botte piccola. Comunque. Prendi un pò di 300, un pizzico di Hercules, Robin Hood Q.B., aggiungi una noce, ma solo una che poi è troppo, di Caligola, mescola versando un filo di Troy e Pirati dei Caraibi, solo il tuorlo di Ben Hur, e spolvera tutto con abbondante Kill Bill.
Inforna per un'oretta e mezzo e...voilà, il tuo "Immortals" è pronto!
Ecco diciamo che mancavano solo le Muse che cantavano. Purtroppo, come al solito, le migliori intenzioni dei registi vengono frustrate dalle necessità di mercato (almeno, spero che il motivo sia il mercato e non davvero il gusto dei registi se no siamo messi male...). E quindi ecco che ci troviamo di fronte a pellicole che riescono meglio a Walt Disney (e mi riferisco anche al rapporto Avatar/Pocahontas) che a Mikey Rourke (tra l'altro...nota di approvazione per Mikey Rourke e il suo cappello da aragosta...era l'unico calato nel ruolo!). Scena notevole: una specie di vestale veggente, si lascia scivolare il peplo di dosso davanti a Teseo (dando le spalle al pubblico non so se mi spiego...). Risultato? Un primissimo piano in stile pubblicità della Roberta delle terga della bella veggente, capitolata innanzi al fascino dell'eroe. Ho riso mezzora e rido tuttora ripensandoci!
Ma d'altronde, ormai lo spettatore medio, ha decisamente il gusto dell'orrido. Certo anche io ho il gusto dell'orrido, a volte, però mi pongo dei limiti. Ormai la televisione di limiti non ne ha più. In nessun senso e in nessun caso. Voglio dire, passi il Grande Fratello, programma idiota per antonomasia, ma che perfino quei programmi che pretendono di essere seri passino una quantità di spazzatura quasi intollerabile, mi suona strano. E' che si confonde il giornalismo con il sensazionalismo. Vi porto un esempio su tutti (ma ne avrei almeno altri 300 di gusto ancora peggiore..): processo a porte chiuse? E chi ci ferma a noi?! Facciamo il servizio col cellulare! Riprendiamo l'udienza col cellulare e la mandiamo in onda! Eccerto...tanto...

giovedì 17 novembre 2011

Un Sacco di....

Oggi SUPERmission. Col SUPER maiuscolo.
Ovviamente il destino avverso, che ha deciso di ostacolarci per quanto possibile, non ha tenuto conto della forza di volontà delle wom (che si chiamano wom mica per niente). Sta di fatto che la congiuntura astrale che ha voluto che proprio oggi, tra tutti i giorni disponibili, i sindacati si mettessero in testa che era assolutamente necessario attuare uno sciopero generale dei mezzi, non ci ha impedito di prendere la macchina e trasferirci a Milano. Nemmeno il fatto di aver sbagliato strada e di esserci trovate su Viale Certosa invece che a Lampugnano ha potuto diminuire la nostra determinazione. D'altronde Milano è una città magica, quando perdi la speranza ti salva con un Deus ex Machina: disperse nei meandri di viuzze sconosciute, tra boschi (a Milano?!) e palazzi, alla disperata ricerca di un parcheggio, dopo aver chiesto ai passanti (una delle quali è stata massimamente esauriente: "Eh, è lontano...là in fondo"), e dopo che V. scoraggiata dalla scarsa presenza di candidati idonei a fornire indicazioni ha esclamato: "Ma non c'è nessuno in 'sto paese?!" (a Milano?!), ecco che compare il familiare profilo della stazione Cadorna! Ormai rassegnate a pagare in parcheggio ciò che avevamo risparmiato in treno,  abbiamo mollato la macchina in Foro Bonaparte e ci siamo dirette, senza nemmeno accertarci che entrambe fossimo d'accordo (d'altronde la telepatia servirà pure a qualcosa, no?), verso il consueto schifezzopranzo. Trangugiati i cheesburger, ingollato il caffè, ci siamo dirette là. Verso la nostra meta. Verso il compimento della nostra mission: la Statale.
Aula stracolma, centinaia di studenti, decine di dottorandi, ricercatori e Chiarissimi. Ma soprattutto Lui. Si, Lui. Ha fatto il suo ingresso in capo ad una piccola processione (che sembrava il Vescovo seguito dai chierichetti coi ceri alla messa di Natale..), passo dopo passo, un pò traballante. Dopo qualche chiacchera si è seduto e ha cominciato la sua Lectio.
No comment. Non mi sento nemmeno in grado di riassumere l'argomento in due parole. E' stata una emozione fortissima sentir parlare il mio libro. Il Sacco. Era lì davanti a noi, faceva battute e spiegava.  l'incubo di non so quante generazioni di studenti e studiosi del diritto civile. Colui che, da solo, forma correnti dottrinali autonome al grido di "secondo Sacco..." o "Sacco dice che...". L'uomo che abbiamo invocato, nominato invano, maledetto e ringraziato, da un anno a questa parte, decine di migliaia di volte, perchè è sempre nei nostri discorsi, perchè almeno venti volte al giorno ci chiediamo: "Cosa direbbe Sacco?". Ero quasi tentata di chiedergli di dirimere la nostra annosa disputa sull'opzione.
Tanto di cappello. 88 anni e non sentirli. Al diavolo la meritocrazia se i baroni sono tutti così. Perchè da un cervello del genere fa anche piacere imparare, anzi, ci si sente sempre in debito di sapere. Perchè raggiungere una cultura del genere è praticamente impossibile. E la pressione diventa quasi insostenibile quando ti dicono: "lo vedi quello che stringe la mano a Sacco? E' Trimarchi". Ecco, appunto. "Ma chi era quello in fondo alla sala?" "De Nova". Ah, ok. "E quello è Carnevali". Bene. No, bene. Ecco, diciamo che eravamo nella stessa aula con una buona parte dei nostri libri di scuola. Sembrava di stare ad un concerto rock. Ad un certo punto, quando Sacco ha esordito dicendo "Colleghi!" ho creduto che la platea si alzasse in una standing ovation con striscioni, lacrime e strappamenti di capelli. Invece è rimasta seduta in composta attenzione ad aspettare il resto del discorso. Due ore di lezione volate. Sul serio, nemmeno sentite. Eppure intensissime. E alla fine un applauso che non so se si sarebbe fermato se Sacco stesso non avesse ordinato che finisse. Una lunga fila di studenti si sono accalcati intorno a lui per avere un suo pensiero sul libro. E mi sono sentita dieci volte più scema per non aver portato il libro oggi che non per aver dimenticato i codici un paio di settimane fa. Comunque anche chi non aveva il libro, faceva scrivere il Professore un pò ovunque, uno anche su un pentagramma. Io su un foglietto azzurro della mia agenda che da domani finirà in una cornice sulla mia scrivania in studio, alla faccia di D. che mi da della pazza. Perchè su quel foglietto SACCO IN PERSONA MI HA DATO DELLA COLLEGA.
Davvero sembrava di essere davanti ad una vera rock star. Anzi meglio. Ad un certo punto pensavo che qualcuno si facesse autografare la maglietta. Per fortuna non è successo..
Poi va beh, ci siamo anche immatricolate a scuola, ma quella è una cosa secondaria, perchè abbiamo sentito parlare Sacco, praticamente un pezzo di storia dal vivo, e siamo state irrorate di cultura giuridica (sperando che qualcosa sia penetrato, almeno per osmosi...), abbiamo rivolto anche la parola a Sacco. Ci siamo palesate e abbiamo avuto uno scambio di battute sullo sciopero dei treni (e avevo paura di sbagliare risposta....).
Scusate per la frenesia e la confusioe di questo post...è l'emozione (e non ho ancora subito il calo adrenalinico...).
E comunque, per concludere con le Sue parole: "i magistrati di domani sono gli studenti di oggi".

domenica 13 novembre 2011

film d'atmosfera

I film americani, italiani, inglesi etc. hanno una storia (di solito). Quelli francesi hanno un'atmosfera. Come Bande a part, Godard, 1962.
Con un'atmosfera (appunto) fuori dal tempo ma ben calata nello spazio (Parigi), con la solita finta semplicità intrisa di dietrologie filosofiche tradotte, in realtà, in finte filosofie che esprimono banali semplicità, Godard ci racconta una storia (a modo suo) d'amore. L'amour così distaccato, freddo, passionale, istantaneo, romanzato, da film francese. Quell'amore solo di fatto ma non di sostanza, quel dirsi "ti amo" senza niente sotto, senza un perchè. Il film, in bianco e nero, anzi, in sfumature di grigi, mostra una Parigi triste e fredda anche se c'è il sole, la Senna, gli alberi, le case. Tutto immerso in un perenne autunno ingiustificato. Sta di fatto che ad un certo punto mi sono girata e ho visto il riquadro della mia finestra riempito di giallo, come a ricordarmi che l'autunno reclamava i suoi bellissimi colori.
La storia della rapina sembra solo una scusa per farci entrare in questo rapporto distorto e distratto tra i tre protagonisti, due uomini e una donna. Come in Juls e Jim (Truffaut altro esponente della Nouvelle Vague), come in The Dreamers (Bertolucci, che attinge a piene mani da Bande a part, come Tarantino, del resto), vige la legge dell'ambiguità e dello scambismo, anche se devo dare atto, dopo tante critiche, che in questo Bertolucci è riuscito a colpire meglio nel segno.
Amabili alcune scene, come quella del ballo nel bar (citata in Pulp Fiction), della lettura dell'ultimo passo di Romeo e Giulietta e, ovviamente, della corsa nel Louvre (citata un pò ovunque). Sono quelle che creano l'atmosfera, quelle che, ripensandoci mesi dopo, evocate da una musica dolce nell'aria e da tanta tanta voglia di romanticismo, tornano su come la polenta con i bruscitt il 15 di agosto e fanno stringere gli innamorati al motto "fammi ballare come in un film francese".
Notabile anche l'espediente, ormai un clichè, della voce fuori campo, del narratore onniscente, che tutto sa e tutto vede, con la pretesa di aprire parentesi contenenti i sentimenti dei protagonisti (parentesi vuote ovviamente).
Il bilancio è tutto sommato positivo, la visione è piacevole, e abbastanza scorrevole. Agli atti che la versione italiana è andata probabilmente dispersa, visto che ho visto una vecchia registrazione da rai 3 in francese, con i sottotitoli sgranati e senza interruzioni pubblicitarie (il che mi fa pensare che la registrazione sia stata fatta a notte fonda...).
Piccolo, residuo, commento: avevo deciso di vedere questo film, ovviamente, per la scena del Louvre (che mi piacerebbe un giorno replicare per battere il record, e per questo si cercano volontari... non sgomitate, mi raccomando). Mi aspettavo chissachè, invece dura 10 secondi senza particolare sottolineatura se non lo spirito di intrinseca affascinante follia del gesto.

martedì 8 novembre 2011

No. Volevo dare la mia risposta. No. Ci ho pensato per un pò (poco a dire il vero, mi sono bastati cinque minuti per realizzare) ma alla fine la mia risposta è no. Non stavolta. Non ora. Non mollerò il colpo per l'ennesima volta solo perchè è più comodo. Ma torniamo indietro di un passo. A.D.R., come si dice in gergo, e la domanda è: "ma visto che ti trovi così bene in questo studio, perchè non rimani e lasci perdere la scuola? Il percorso per la magistratura è fatto di abnegaizone e impegno, qui hai un posto bello, perchè non rimani?". Come dicevo, a domanda risponde: no. No, perchè ho passato gli ultimi mesi a cercare motivazione e a convincermi che non torno a scuola perchè non so cos'altro fare (dimostrato dal fatto che in quello che faccio ora riesco bene) ma perchè ci credo veramente. E, guarda che strano, proprio quando comincio a crederci veramente, appunto, toh! si presenta alla mia porta il lavoro dei sogni, nella mia città, vivino a casa, più comodo di così si muore. Mmmmm... mi ricorda qualcosa. Qualcuno che più o meno cinque anni fa diceva "Hai l'università sotto casa, cosa vai a fare fino a Milano?". Ecco. Appunto. Siccome, come non mi stancherò mai di ripetere, meglio un rimorso che un rimpianto, stavolta voglio arrivare fino in fondo. Voglio farlo, sul serio, non perchè è un ripiego, ma perchè voglio essere una di quelle persone che tra due anni perderanno i capelli cercando di vincere la lotteria della vita. Da questa brevissima ed insignificante esperienza lavorativa ho avuto, tutto sommato, la conferma che proprio scema non sono. E che quello che i miei professori hanno seminato non è caduto su un campo arido (certo, nemmeno nella Mezzaluna fertile in Mesopotamia, ma diciamo su un dignitoso campo di quelli che vedo dai finestrini dell'Aprilia durante le gare...piccolo, coperto di neve d'inverno, ma che fa il suo bravo dovere ogni anno). Posso farlo davvero. Quindi no, non voglio scegliere la soluzione più comoda. Voglio scegliere quella che voglio. E se ci sbatterò la testa...sarà un rimorso, non un rimpianto.

lunedì 7 novembre 2011

Vita da praticante 2: Cenerentola sulle scale del G.d.P.

Gli effetti positivi del praticantato. Mmmmmh..beh prima di tutto fare il praticante favorisce il mantenimento della linea. Per esempio l'altro giorno avrò percorso, a trotto sostenuto, almeno 30 km tra tribunale e G.d.P. avanti e indietro, avanti e indietro...e non avendo la possibilità di smangiucchiare tutto il giorno i risultati si vedono!
Poi...poi beh certe risatine che mi faccio sotto i baffi non hanno prezzo, per esempio quando, nella folla delle udienze del venerdì mattina, un avvocato prende l'iniziativa e per salvare gli astanti da morte certa per asfissia apre una finestra. Ma la finestra non sta aperta perchè è rotta. Allora incastra una penna tra gli stipiti lasciando aperto un piccolo spiraglio per il passaggio dell'aria. La folla lo osanna con urli e applausi e l'eroe si schermisce e senza modestia afferma: "Eh...questo è extreme engeneering!". Oppure quando, sempre nella folla delle udienze del venerdì mattina l'avvocata, arrivato il suo turno, eccepisce davanti al Giudice non ricordo cosa, e tutti, invece di farsi gli affari propri scoppiano in risatine di scherno e propongono al libero convincimento del giudice il loro personale (e non richiesto) commento sulla faccenda, tra un ghigno e l'altro.
Altro lato positivo del praticantato sono le camminate (sempre a favore della linea) che mi faccio tra lo studio e casa e tra casa e lo studio, di solito ad orari tali per cui le strade sono vuote, o meglio, sono popolate da strani esseri e creature che normalmente, nelle ore di luce, vivono nascoste sotto i tombini. Per esempio Milly, una gattina siamese che si aggira per il Corso. Ogni volta che la vedo è circondata da persone che la credono dispersa e cercano di salvarla (me compresa). Oppure il suonatore di sax che si piazza davanti alla Feltrinelli. Ogni tanto un suonatore di arpa gli si mette di fronte e suona un'altra musica e gli fa consorrenza. In Corso c'è sempre il suonatore di flauto traverso, ma non è molto bravo. L'altra sera invece c'era il complessino di studenti slovacchi, loro sono bravi.
Oggi ho addirittura perso una scapra sulle scale del Giudice di Pace. Certo, invece del principe dietro di me c'era una vecchietta che mi fa "Signorina, ha perso una scarpa!". Io, saltellando su un piede solo e cercando di evitare le pozzanghere fangose, sono retrocessa di un passo e ho reinserito il piedino nella scarpetta perduta, ho sorriso alla signora e l'ho ringraziata. Dentro di me pensavo: "Cavoli sciura, che acume! E grazie per aver pensato che io fossi tanto rintronata da non essermi accorta di aver perso una scarpa in un giorno di pioggia!"

mercoledì 26 ottobre 2011

Calpestami!

Eccomi qua, alla fine di una faticosa, lunga giornata. Lunga in realtà non proprio perchè mi sembra che sia svanita nel nulla, di aver fatto un salto direttamente dalle sette di stamattina ad ora. Si, perchè l'ultimo ricordo notido che ho mi vede al trotto verso la stazione, colpevole di aver ignorato la sveglia che suonava alle 5.30...Poi nebbia. O meglio, una serie di immagini meritevoli di essere citate in questo post ma non particolarmente articolate. Per esempio lo scorcio del Duomo avvolto in una delicata nebbiolina grigia alle otto di un mattino d'autunno, la piazza deserta. O un intero stormo di piccioni che dormivano tutti arruffati e con la testina sotto l'ala, tutti appiccicati, radutati sopra una grata della metro, al calduccio. O ancora una coda poco convinta di futuri specializzandi sparpagliati nell'atrio della Statale in attesa che le porte del loro avvenire si aprissero. Una signora (non sapendo se si trattasse di una chiarissima professoressa o di una segretaria, non mi azzardo a conferire titoli) che fa l'appello cercando di capire chi avesse lasciato l'aula proprio al momento di cominciare il test. Un pensiero che attraversava la mia testa sul fatto che almeno al test d'ingresso alla scuola di specializzazione per le professioni legali potevano sprecarsi a scrivere in italiano anzichenò (ebbene sì, hanno scritto "conseguenziali"...). Finito il test non poteva mancare il consueto schifezzopranzo da Mc Donald's, dove abbiamo confermato l'ormai sperimentata tecnica dell'easy order (sperimentata almeno quanto la tecnica enunciata dall'ennesimo Teorema di Wom: nelle domande di diritto amministrativo, la risposta esatta è sempre quella più lunga). Poi shopping, rallentato da una certa sonnolenza indotta dagli analgesici, poi un viaggetto nel paradiso delle scarpe (penso che ne parleranno anche a Mistero: registrate tracce di Manolo Blahnic a Milano) e delle shiccherie fuori dalla portata di chiunque non sia il sultano del Brunei (tartufo bianco 9200 euro al kg). In fine rientro in treno. Concludo con un messaggio per la Signora Controllora.
Cara Controllora,
Sono una passeggera che ha pagato la bellezza di 10,30 euro per andare da Milano a Varese, consapevole del fatto che alle 18:19 il treno è strapieno. Proprio per questo pensavo che fosse preferibile occupare i posti disponibili prima di fomentare il degrado obbligando la gente a sedersi per terra e sulle scale, ammassati tipo carro bestiame. Invece mi rendo conto che, effettivamente, dopo una giornata di duro lavoro o di studio, passata magari in piedi, uno non vede l'ora di essere cacciato dal posto che ha occupato perchè per stare in prima classe bisogna pagare la bellezza di tre euro di differenza (per occupare gli stessi sedili pulciosi, con la stessa aria caldoumida che esce dalle grate e le stesse cicche appiccicate sul finestrino). Quindi, tesoro, spiegami per quale motivo devo stare seduta per terra, nella puzza delle scarpe degli altri  nell'umidiccio, se tra una classe e l'altra non c'è nessuna differenza? Quando passerai tu personalmente, con il carrellino del tè e della cioccolata calda, con i biscotti e il giornale, quando staccherai le cicche dai finestrini, sarai in grado di termoregolare l'ambiente in modo da garantire il mantenimento della sensibilità alle dita dei piedi e provvederai a pulire i sedili, io potrò valutare consapevolmente la possibilità di pagare tre euro in più se vorrò usufruire di comodità aggiuntive, ma allo stato delle cose, mi verrebbe da chiedere il rimborso del biglietto. E un grazie speciale anche al signore che, non solo mi ha fissata per tutto il suo viaggio da Milano a Tradate dall'alto del suo desile sghembo, ma mi ha pure colpita col cappotto e con l'ombrello. La prossima volta, caro signore, la prego...mi calpesti!

giovedì 20 ottobre 2011

Vta da praticante 1

Si, vita da praticante 1, perchè sono sicura che ci sarà un 2, un 3 et cetera et cetera.
Questa è la settimana delle prime volte, del "non so come si fa" del "dove'è la pinzatrice?", del "allora, adesso scrivi questo qui, quest altro lì e quest'ultimo qui in fondo bla bla bla...capito tutto? Se non capisci dimmelo"...Ma devo dire che sto migliorando, piano piano.
Ieri ero in Trib e pensavo a questo post e al fatto che ad ascoltare in giro ci sono un sacco di spunti divertenti. Tipo:
Buongiorno.
Buongiorno.
Che belle, le statuine!
Grazie.
Anche a me piacciono le mucche.
Pezzate?
Le mucche.
Si, dico, le piacciono le mucche pezzate?
Guardi in studio ho un quadro con una mucca.
Pezzata? Con le macchie?
No no, la mia è nera. Un quadro dell'ottocento. C'è una mucca in una stalla. Bellissimo.
Eh si, sa che, se cerca su internet può trovare moltissimi francobolli Brasiliani con le mucche?
Pezzate?
Si si, pezzate.

Oppure:
Ma che strana pianta! E' storta!
Eh, avvocato, non trovava la luce e si è piegata.
Strana, sembra una palma. Che pianta è?
Non saprei, è uguale a quella che hanno davanti alla cancelleria civile.
No, quella è una orchidea.
Allora sarà come quella in cancelleria immobiliare, non mi ricordo.
Sembra proprio una palma. Và che storta. Haha. Tu, ricordami di portare una pianta nuova la prossima volta.

lunedì 17 ottobre 2011

Bombe nel Dentetunnel

Eccomi. Oggi sono logorroica, preparatevi. D'altronde ho in arretrato un pò di cose, prima fra tutte lo showcase di Dente alla FNAC di Milano.
Si, mission compiuta. Abbiamo anche trovato dei posti relativamente buoni, se non contiamo che la guardia giurata aveva deciso di piazzarsi proprio sulla nostra traiettoria visiva...e che un gruppo di ragazze dalla personalità, come dire...abbastanza importante, avevano deciso di scavalcare tutta la coda per piazzarsi davanti (almeno sono state così gentili da scattare qualche foto per me!).
E così Dente ha ufficialmente presentato il suo nuovo disco "Io tra di noi". Mi piacerebbe commentarlo canzone per canzone, ma ora non avrei davvero il cervello per farlo. Basti dire che V. ha detto di essere entrata nel tunnel! Si, nel Dentetunnel è difficile entrare ed è impossibile uscire. Perchè quando ti fermi ad ascoltare quello che dice e ti accorgi che parla al tuo cuore e che riesce ad esprimere con una semplicità disarmante dei concetti che non potrebbero essere approfonditi neanche in 10 blog...beh come fai a lasciarlo andare? Come fai a non ascoltare 50 volte "Settimana enigmatica" cercando di capire tutti gli indovinelli e lasciandoti coinvolgere  dalla musica che cresce mentre la voce più dolce del mondo canta "tesoro mio come sei complicato"? Come fai a non ascoltare altre 50 volte "Giudizio Universatile" senza pensare che fa un baffo alla citata "Giudizi Universali", che la semplice tenerezza dolceamara di Dente distanzia di brutto, in termini qualitativi ed empatici, la pesante coltre di rancore di Bersani e che il ritornello ha qualcosa di vagamente  Renatiano? E come fai a non trasformare i 40 secondi di "Cuore di Pietra" in ore e ore di dolce ascolto cercando di riconoscere tutti i nomi delle gemme?
Comunque...
In questi giorni ho letteralmente visto le lancette dell'orologio muoversi freneticamente, come quando in tv si vedono le stagioni che trascorrono e le nuvole corrono velocissime e il sole sale e scende rimbalzando come una palla tra i grattacieli e le montagne. E non dico questo solo perchè abbiamo vinto il Trofeo Milano, che prevede l'utilizzo di cronometri meccanici (ciò che implicava, in effetti, che io fissassi le lancette), ma anche perchè negli ultimi giorni ho subito una minirivoluzione generale.
Per esempio questa mattina ho iniziato la pratica forense. Ho passato qualche ora a riflettere sui cambiamenti (come sempre) ma poi mi sono detta: "e buttati, una buona volta! Vai e vedi come è". E così ho fatto. Non male. Ho anche una scrivania tutta mia in un ufficio con una grande finestra. Ci sono dei mobili di legno che mi ricordano quelli con cui è arredata la stanza del "padre del diritto privato" in Statale, quel pesantissimo set di armadi, scrivania, sedie etc di legno con inferriate, pieni di libroni. Meno male che nel mio ufficetto non c'è il ritratto di un "padre della materia" che mi guarda!
Ma torniamo al Trofeo Zanon. Più precisamente al momento in cui ho saputo che la cena al Fourseasons prevedeva il dress code "abito scuro". Ecco. Questo momento, invece di coincidere con l'iscrizione alla gara o con le ore precedenti alla partenza, come sarebbe stato opportuno, ha coinciso con il nostro ingresso in albergo alla fine della gara. Bene. Io avevo: jeans rotti dieci minuti prima, felpona con Lucy dei Peanuts sulla schiena, maglietta rossa, scarpe da ginnastica, calze di Hello Kitty. A pranzo qualcuno mi aveva anche rovesciato addosso un caffè.Trucco e parrucco in tono col resto.
Quindi potete immaginare la mia sensazione di inadeguatezza quando hanno cominciato a sfilarmi accanto una serie di silfidi alte un metro e novanta, con la vita del diametro di un mio polpaccio, dei tacchi vertiginosi e che davano tanto l'impressione che, se si fossero messe addosso un sacco dell'umido, sarebbero state bene lo stesso.
Ma alla fine abbiamo vinto, quindi mi sono sentita un pò come se avessimo avuto ragione noi e gli inadeguati fossero gli altri. La sensazione si è accentuata quando la serata è scivolata verso una china pericolosa: quella politica. Come ben sapete, sabato pomeriggio, ci sono state cose ben più importanti del Trofeo Zanon ad occupare le cronache: i black bloc avevano appena distrutto mezza Roma, quando la cena conclusiva del Trofeo Milano si trasformava in un comizio su come noi, custodi della tecnica e dell'ingegno italici, protettori dei gioielli che hanno fatto dell'Italia una Nazione all'avanguardia, noi, che partecipando a questa manifestazione, ci dimostriamo sicuri fautori della ripresa, fieri contrastatori della crisi, perchè noi italiani non dobbiamo chiedere niente a nessuno, abbiamo tutti i mezzi necessari per riprenderci, e queste auto ne sono l'inequivocabile dimostrazione...etc etc. L'Oratore ha parlato con la veemenza di chi deve convincere (gli altri e se stesso) della bontà delle sue affermazioni. Continuava a porre l'accento sui "NOI!", sulle "CRISI!", sui "GRAZIE!"; usava parole come "ripresa", "sostegno" "economia", "mercato"...Per amore del cielo, non ho nulla contro queste parole nello specifico, io non ho pregiudizi linguistici, per me ogni parola gode di pari dignità. Ma, di preciso...cosa c'entravano queste parole con una gara di auto storiche? In campionato CSAI mica viene Pannella a fare lo sciopero della fame. Al Trofeo Profumi e Sapori non ho mai visto Bossi a biascicare sulla Padania e dubito fortemente che Bersani si sia mai interessato a partecipare al Supertrofeo ASI. E allora perchè mi sono dovuta sorbire il comizio? Cioè, ho trovato quanto meno fuori luogo intraprendere la strada della politica durante un evento conviviale spensierato come quello, tanto più alla luce degli eventi del pomeriggio. Sta di fatto che ad un certo punto ho perso il filo del discorso e mi sono riallacciata circa dieci minuti dopo che l'Oratore stava inveendo ancora di più, quasi urlava. E' stato allora che ho desidarato, tutto sommato, avere a disposizione, che so...una bomba molotov o roba simile.

giovedì 6 ottobre 2011

Fai ciò che vuoi

Quando ero piccola, sotto Natale, davano sempre il celeberrimo "La storia infinita". Un classico. Come tutti quelli della mia generazione (e non) sanno, Bastian possedeva un medaglione con scritto "fai ciò che vuoi". Ci sguazzava un pò in questa cosa. Alla fine non è male sentirsi liberi di fare ciò che si vuole: saltare sul letto, mangiare 10 ciambelle di fila, dormire fino alle due del pomeriggio (tutti fanno queste cose in realtà, ma non sarebbe bello farle senza sentirsi in colpa?). Ci metteva tutto il film per capire che "fai ciò che vuoi" è una esortazione che va oltre il semplice "fai quello che ti pare", oltre l'adolescenziale libertà che ognuno anela. Significa trasforma te stesso in ciò che vuoi diventare, sii padrone della tua vita, o meglio, padrone del tuo futuro; non ti accontentare di quello che trovi, e non smettere di cercare quello che sei perchè non sarai mai troppo vecchio per ritrovarti.
Oggi non si usa più dire "fai quello che vuoi". Il moderno concetto si sintetizza nella proposizione "stay hungry, stay foolish". Di fronte ai miracoli dell'animazione Pixar, d'altronde, il pelouche parlante e volante della Storia infinita sfigura. E anche le belle parole di un vecchio film quasi dimenticato.
Steve parlava ai laureandi, "siate affamati (di vita, di successo, di amore per ciò che fate), siate folli (temerari, senza paura, cadete, fatevi male, meglio rimorsi che rimpianti)".
Quando mi sono laureata qualcuno mi ha detto: "Non consentite a nessuno di dirvi cosa è o non è possibile; abbiate la sfrontatezza dei venticinque anni, sbaglaiate da soli, rialzatevi da soli, siate impertinenti, non ponetevi limiti". Ok, non era Steve Jobs, ma a quanto pare i concetti che i professionisti si sentono di esprimere alle nuove leve, sono bene o male gli stessi. E non sono più veri perchè li ha espressi anche Steve Jobs. Sono veri in generale, in assoluto. Ed è difficile rendersi conto di quanto siano veri se non ci si è trovati a trascorrere qualche tempo a pensare cosa significa non accontentarsi. Cercare un modo per cadere e farsi male per capire, anche attraverso un errore, quale strada imboccare. E forse è la frustrazione di questo periodo che mi fa parlare così, ma rovo difficile essere hungry. Trovo difficile essere foolish. Vorrei esserlo, davvero. Certo, il discorso di Steve che, solo oggi, ognuno di noi ha sentito almeno 30 volte, è stato un pò travisato, secondo me. l'interpretazione corrente vuole Jobs inseguitore di sogni, determinato costruttore della sua retta via, imperterrito realizzatore di aspirazioni. Io, dal racconto della sua esperienza, ho capito un'altra cosa. Ho visto un uomo che ha preso le carte che la vita gli ha offerto e le ha trasformate in una mano vincente. Senza incapronirsi, ma lasciandosi guidare dagli eventi e, perchè no?, anche dal caso (che, a volte è un buon alleato). Una persona malleabile, che non sempre sapeva dove arrivare, uno che ha capito l'importanza del viaggio più che della meta. Certo, facile dire queste cose di uno che, oltre ad essere considerato un genio della tecnologia e del marcketing, era l'uomo più ricco del mondo. Chiaramente non basta affidarsi ai moti della vita, confidare nella buona sorte...bisogna anche avere un bel cervello e...beh ovviamente essere hungry e foolish, fare ciò che si vuole. Va bene fare piani, ma saper accettare che la vita li mandi a monte senza andare nel panico, è una capacità di pochi. Pollyanna cercava il lato positivo in ogni evento triste della vita, e riportava la gioia nel triste villaggio. Oggi come oggi, Steve ci dice "arrangiatevi". Nessuno è qui per mostrarci il lato bello delle cose, nessuno ha la voglia e il tempo di mostrarci il lato positivo. La nostra unica certezza siamo noi, il lato positivo lo dobbiamo trovare da soli, la motivazione non scende dal cielo ma la troviamo da qualche parte all'interno (non so bene dove, ma sono sicura che c'è). E anche se la motivazione manca, è giusto saper aspettare. Aspettare che il vento giri, aspettare che l'ennesima batosta ci permetta di rialzarci. Senza mai perdere la sicurezza di noi, per essere veramente liberi di fare ciò che vogliamo.

martedì 4 ottobre 2011

Merenda da Tod's

C'è chi fa colazione da Tiffany e chi fa merenda da Tod's. Audrie beveva caffè guardando gioielli. Io e V. bevevamo frappè guardando vestiti. Non che mi stia paragonando in qualche modo a Audrie, ma ieri eravamo lì davanti da dieci minuti, in contemplazione del più elegante manichino che abbia mai visto in vita mia (ero quasi emozionata) e bevevamo frappè, la similitudine è venuta da sola.
Aveva un bellissimo trench (il manichino) e un vestito di lana semplicissimo, un paio di scarpe marroni. Niente orpelli, niente di troppo. Era perfetto (se vi capita di passare davanti al Dev, fateci caso). Ho pensato che quando sarò grande vorrò vestirmi così. Si, avete letto bene, mi sono sentita come la bambina di tre anni che prova le scarpe col tacco della mamma e il suo piedino minuscolo riesce appena a riempire la punta. Gira per casa rigando il pavimento perchè striscia i tacchi, ha la faccia impiastricciata di rossetto e porta a tracolla una borsa più grande di lei. Ha fretta di essere grande, o meglio, vuole sapere cosa si prova ad essere grandi, come se quella borsa misteriosa contenesse una libertà che aspetta ma che sa di non poter avere e di non poter gestire. Perchè, siccome l'abito non fa il monaco, per certe cose bisogna proprio avere il fisique du role. L'unico modo che ha per sperimentare la sensazione è mettersi nei panni della mamma, nelle sue scarpe, e travestirsi da gran signora. Ecco guardando quel manichino, così naturalmente elegante, ho pensato che non sono ancora abbastanza adulta per essere quel tipo di donna (e nemmeno per travestirmici, sinceramente), ma un giorno mi piacerebbe essere così. Elegantemente semplice.
Non c'entra nulla ma...volevo fare tanti complimenti a Giulia. Brava. Davvero. Hai fatto il colpaccio, ti ammiro. Grandissima, spero di diventare come te, un domani. D'ora in poi sei tra i miei modelli da imitare. Perchè non è da tutti far assolvere con formula piena uno che in primo grado era stato condannato a 25 anni e il cui dna era sparso a muzzo per tutta la scena del crimine. Quindi, indipendentemente da tutti i commenti che si possono fare su questa storia e da tutte le opinioni colpevoliste o innocentiste che uno può avere (tanto la verità la sa, forse, solo Meredith), tanto di cappello agli avvocati. Ciò a dimostrazione del piacevole intercalare di C. "se hai un bravo avvocato, il nostro è il miglior sistema legale del mondo". E come diceva Vasco: e brava Giulia!

lunedì 26 settembre 2011

La psicoalgebra delle favole

La Rana e lo Scorpione. La Volpe e l'Uva. Benvenuti nel mondo delle favole.
Si perchè, a volte, ti succedono delle cose e pensi di essere nel mondo delle favole. Dove gli animali parlano. Altre volte, invece ti capitano delle cose e pensi di essere stata rapita dagli alieni e di essere finita su Marte (insieme a Marmotta), circondata da omini verdi che blaterano, blaterano, e tu capisci solo "telefono casa".
Siccome giusto oggi pomeriggio dicevo a V. che, secondo me, certe cose andrebbero regolate con un contrattino, ecco, mi verrebbe da chiedere a Sacco se firmerebbe un contratto con un marziano (intendo un contratto che non c'entri nulla con la manutenzione della rete telefonica..). Con un omino verde che parla un'altra lingua, dal quale, diciamo, non sa cosa aspettarsi. Si perchè chi ha creato il legittimo affidamento, sono sicura, deve aver pensato "è cosa molto buona". Se c'è scritto sul contrattino, so cosa aspettarmi dalla controparte. Ma ho come l'impressione che il marziano pretenda che uno fondi le sue aspettative sulla fiducia. Ma, come dicevamo io e V. oggi (complice un gelato di Buosi) le aspettative sono direttamente proporzionali alla fiducia. E la fiducia media, moltiplicata cioè per il tempo da T0 a T1 e da T1 a T2 etc etc, divisa per tutte le aspettative disattese, crea un delta di speranze (il dizionario dei sinonimi è un pò povero alla voce "aspettativa"..sarà perchè è una di quelle parole italiane che rendono perfettamente la sfumatura di significato che esprimono) che, a ragion veduta o meno, verranno soddisfatte dalla controparte.
Putroppo, questa psicoalgebra spicciola non funziona. O meglio, non si applica alla lettera. E' un pò come le regole della grammatica greca: ti sforzi di imparle anche se sai che non le applicherai mai visto che sono più le eccezioni che altro (che poi ti viene la depressione quando scopri che nemmeno il verbo luo è del tutto regolare..).
Ma allora cosa dobbiamo fare? Facile: non crearci aspettative. E se le abbiamo già? E se le abbiamo già (e, sottinteso, vengono puntualmente disattese) finiamo (o almeno io..mi do del noi) come la celeberrima volpe, a negare che l'uva ci interessa perchè non ci arriviamo. D'altronde è inutile prendersela con i marziani perchè disattendono le nostre aspettative, perchè come disse lo scorpione alla rana (dopo averla uccisa..): "è la mia (intesa la loro) natura".

martedì 20 settembre 2011

Lettera semiseria dal presente al passato

Care V e A,
come va?
E' un pò che volevo dirvi due parole, in realtà, e penso che questo blog sia il giusto compromesso tra la schiettezza di cui parlavamo l'altra sera con D e F, e l'inspiegabile ritrosia che ognuno proverebbe di fronte ad una situazione simile.
L'altro giorno camminavo con V (Va) vicino a casa mia e ti ho incontrata, A. Mi sei passata di fianco, mi hai guardata e non mi hai salutata. Ok, nemmeno io ti ho salutata, ma non ero io dalla parte del torto. Certo, chi è dalla parte del torto raramente si rende conto della propria posizione, ma stavolta direi che è palese. Sono circa 5 anni che ho sul groppo questa domanda e direi che è arrivato il momento di porla: ma perchè? Io vorrei solo sapere perchè, un bel giorno, dopo anni di amicizia fraterna mi hai tolto il saluto. Ci sarà un motivo. Va bene che c'è chi sostiene la teoria del silenzio senza significato, che un'omissione non sempre celi chissà quali dietrologie, ma non mi sembra questo il caso! Cioè, se a 18 anni, un bel giorno, quella che consideravi una sorella maggiore, una persona saggia, da imitare, da cui imparare, si sveglia e smette di parlarti, e comincia una campagna diffamatoria nei tuoi confronti qualche domanda te la fai. Ma sinceramente in anni di turbative mentali non mi viene in mente una sola cosa che possa aver fatto per provocare una simile reazione.
Idem con patate per V. Sorelle il giorno prima, sconosciute il giorno dopo. Ma perchè? Voglio dire, sai quante volte mi è capitato di avere l'esigenza di raccontarti qualcosa? Di voler condividere un'esperienza, una soddisfazione, una storia, un pettegolezzo... Quante delusioni avrei voluto condividere con te e quante soddisfazioni, negli ultimi anni. Invece... A te l'ho chiesto, me lo ricordo: perchè? E la tua risposta, prima di disconnetterti, è stato un insipido: "siamo cambiate". Vero. Sacrosanto. Infatti io sono andata avanti. Non mi fa più male pensare al passato. Ma rimane la domanda, alla quale spero vogliate dare una risposta: ma perchè? Diamo un significato a questo silenzio per favore, abbiamo il coraggio delle nostre omissioni e tappiamo questo buco. Perchè ci ho messo anni per ricucire questo strappo che mi avete fatto nel cuore: ho usato i fili dell'amicizia, quella vera (e spero sincera) e della fiducia (che non sono ancora sicura di padroneggiare bene). Ma, si sa, la curiosità è donna e mi rimane aperto un perchè, un movente. E che cavolo, direi che me lo merito, no? Ditemi: "Franci, guarda, mi ha dato veramente sui nervi quella volta che hai preso 9 in storia dell'arte senza aver aperto libro" oppure: "Franci, senti, da quando ho saputo che ti sei laureata in 4 anni e mezzo in giurisprudenza mentre io, dopo aver millantato per anni di voler fare il magistrato, ho mollato senza aver passato nemmeno privato, beh non riesco più a sentire il tuo nome" o ancora: "Cavolo Franci, mi sta sull'anima il fatto che hai i capelli lisci". A me va bene tutto, basta sapere.

martedì 13 settembre 2011

Germana, una figlia delle stelle

Ecco. Vorrei fare una dedica. Vorrei dedicare questo post a Germana. Cara Germana, anche io come te sono una ragazza impegnata, infatti ho la tessera dell'Esselunga. E anche io ho Sky. Ma stavo pensando di disdire l'abbonamento, tanto non lo guardo mai. Anche io ho un'età compresa tra i 20 e i 33 anni, proprio come te, Cara Germana. Non come la suora...Germana (anche se cucini bene come lei). Che bello il tuo video, Germana. Mi è piaciuto tantissimo perchè era pieno di ironia, sul serio. Che fosse vero o finto, mi è piaciuto. Quindi ti dedico questo post (anche se con te non c'entra nulla).
Allora, ho visto un bel film e ci ho rimuginato per diversi giorni, quindi ora vi tedierò con il mio racconto. "Figli delle stelle", Lucio Pellegrini 2010.
Mi aveva incuriosita perchè c'era Fabio Volo, mi era piaciuto "Casomai" e avevo cercato gli altri film con Fabio Volo, visto che presto uscirà "Studio illegale" (è iniziato il count down, non possiamo mancare!!!).
Ecco, diciamo che Fabio Volo dovrebbe evitare di ripetere l'esperienza di recitare in veneto. Non gli viene bene (oddio non che io abbia mai visto nessuno recitare bene in veneto...). Per il resto l'idea è geniale. Un gruppo molto eterogeneo, formato da un paio di operai rivoluzionari, una conduttrice televisiva, un ciccione nostalgico della lotta dura senza paura, un criminale professionale, si organizza per rapire un ministro. In realtà la banda di geni rapisce un sottosegretario che, povero, non c'entrava niente. Il film pretende di avere un tono drammatico, senza riuscire, in realtà, ad evitare l'umorismo. Cioè queste macchiette alla fine fanno anche sorridere (nella drammaticità della situazione). La parte che mi è piaciuta di più è stata quando, presi dalle vicissitudini che comporta nascondere una persona, nutrirla, vestirla, farla tacere etc...i rapitori perdono il controllo della situazione per un secondo durante il quale gli abitanti del villaggio montano che li ospita scoprono l'ostaggio. Quando il capo della banda spiega la situazione davanti ad una sconcertata popolazione, questa reagisce con entusiasmo e decide di partecipare al rapimento e dividersi il riscatto (25 mila a famiglia e un libretto di risparmio per i bambini). E' stata una scena surreale, perchè comunque ero nella forma mentis di chi si accosta al cinema "realista". Invece questa è una cosa proprio da fantascienza! Cioè bello! Quando poi si sono messi a stendere tutte le banconote bagnate e ad asciugarle col phon...c'era qualcosa di tenero e patetico. Come quando la sciura passava l'aspirapolvere nella stanza del povero ostaggio bendato e legato. Carino davvero, lo consiglio. Anche perchè su questi quattro o cinque stereotipi vale la pena rifletterci un attimo. Soffermarsi a pensare giusto il tempo di un film tragicomico con Fabio Volo che recita (o ci prova) in veneto, dedicare cinque minuti a pensare quanto molti italiani sarebbero davvero disposti ad unirsi al rapimento di un ministro, semplicemente perchè non c'è altro da fare. Come in una seconda Fontamara, come in un Germinal, come dei Malavoglia inconsapevoli, come i contadini di Novecento. Ogni secolo ha i suoi sconfitti che non sanno come farsi giustizia e, se arrivano per caso ad ottenerla, non sanno cosa farsene.

venerdì 9 settembre 2011

Eccessi di zelo ed eccessi di schifo

Oggi ho visto i due estremi della civiltà umana: l'eccesso di solerzia civica e l'eccesso di vergognosa incuria.
Mi piacerebbe condividere questi due momenti con voi perchè, vissuti a pochi minuti l'uno dall'altro, hanno fatto uno strano effetto:
eccesso n. 1 Sul muro appena fuori dall'Università un'anima caritatevole offriva in affitto due camere a studenti universitari in cerca di indipendenza pret a porter. Annunci del genere tappezzano i muri delle nostre università, le pareti degli edifici, i lampioni, le bacheche etc. Sono quelli con le frange da Pocahontas con scritti i numeri di telefono. Ecco, questo annuncio in particolare era accuratamente avvolto in una busta trasparente, portava il timbro del comune con la data e la marca da bollo da 1 euro e passa appiccicata. Ora. Ammirevole questo signore che si è preso la briga di informarsi su cosa bisogna fare per affiggere sui pubblici muri un annuncio economico, ma la cosa ha lo stesso sapore delle iniziative di certi secchioni petulanti, di fronte alle quali non si può trattenere un ghigno di vago compatimento per l'eccessivo zelo (poi, per amor del cielo, bravo lui!).
Eccesso n.2 Io e V. siamo andate a sperimentare una cosa nuova: il gelato da Buosi. La piazzetta lì davanti, con le sue 4 panchine, è diventata il punto di ritrovo dei gelatofagi dell'estate comprese noi. Ecco. Peccato che i gelatofagi siano (escluse noi) degli incivili patentati. Oggi mi sono guardata intorno e, tra fazzolettini abbandonati per terra, bicchieri di plastica schiacciati dalle macchine, coppette semivuote abbandonate in giro...beh che schifo! Cioè, per quale motivo dovrei abbandonare la mia coppetta finita su una panchina accanto alla quale c'è un cestino per la spazzatura addirittura predisposto per la raccolta differenziata? Davvero disgustoso.
Ecco i due estremi: lo zelo petulante e lo schifo dilagante. Certo, tra lo zelo e lo schifo, meglio decisamente lo zelo. Solo mi ha fatto ridere il paradosso. E poi in questo momento non riesco ad approfondire il ragionamento, visto che sono con un occhio sul blog e con l'altro su Pretty Woman che, nonostante l'abbia visto 10mila volte, mi rapisce sempre.

martedì 6 settembre 2011

Tutto il mondo è Insubria

Non ci volevo credere. Eppure è così. Incredibile! No, cioè, sul serio! Facciamocene una ragione: tutto il mondo è Insubria. O se preferite: c'è un pò di Insubria in ognuno di noi (leggi "in ogni università italiana").
Insomma pensavo che la nostra bella Insubria fosse unica al mondo. Che avesse le sue stranezze, le sue disfunzioni, la nuvoletta di Fantozzi e la nebbiolina sfigata che le davano un'aria da Alcatraz...Invece mi sono dovuta ricredere (con una certa soddisfazione, devo ammettere).
Ma andiamo con ordine. Ieri sono andata con A. a visitare la Scuola (perchè, se tutto va bene, ad ottobre si torna a scuola). Ok, Milano è Milano, emanavamo un'aura di timore, meraviglia e stupore da vere provinciali in gita nella grande città (io incarnavo proprio il clichè, con tanto di cartina scaricata da Google...).
Ora, uno si fa una certa idea, nel senso che, dopo aver vissuto un'esperienza quinquennale in un'Università che non era nemmeno riuscita a far mettere i bottoni dell'ascensore corrispondenti al piano giusto, spera poi di salvarsi dalla disfatta rifugiandosi in un ateneo vero.
Invece no!!! Sono quasi emozionata! L'ASCENSORE DELLA STATALE HA I BOTTONI INVERTITI!!! Si, come da noi, uguale! Ma vi dirò di più, quando siamo riuscite ad approdare al piano giusto, dopo un lungo lavoro di interpretazione tasto/piano, abbiamo capito di essere giunte alla meta dal fatto che il corridoio era ingombro di scatoloni di toner! Proprio come da noi!! Quando poi ho bussato alla porta della segreteria didattica e non c'era nessuno nonostante fossimo lì nell'orario e giorno indicati....beh mi è venuto quasi da piangere! Mi sono sentita a casa. Come da noi, a Varese! Mancava solo la porta con scritto "aula tutor" e sarebbe scattata la lacrimuccia. La stessa sensazione ancestrale l'ho avuta parlando con il tipo della segreteria studenti che ha risposto alle mie domande con quell'aria smarrita tipicamente insubre (che comunica "vorrei risponderti "boh" ma non posso"), quel tono che trasuda insicurezza, quello sguardo come per dire: io ti rispondo ma declino ogni responsabilità. Certo, c'è da dire che mi sono quasi innamorata di lui quando, alla mia domanda "ma è sicuro?" ha risposto "certo, dottoressa!". Ahhh, che soddisfazione! Volevo abbracciarlo! Son quelle cose che fanno sciogliere. Certi uomini sì che sanno parlare alle donne!
Insomma, sarà un segno del destino, sarà che siamo tutti sulla stessa barca, sarà che tutto il mondo è paese, ma constatare di persona che...beh che non mi sono proprio fatta mancare niente, durante la mia esperienza universitaria, che l'ho vissuta esattamente come qualunque altro studente d'Italia, con le stesse disfunzioni, mi fa capire che, alla fine se gli svantaggi ce li hanno tutti si elidono. E se gli insubri svantaggi si elidono rimangono solo i vantaggi! Quindi, secondo una semplice operazione matematica, è andata meglio a me (leggi: noi) che agli altri! Quindi la giornata di ieri ha decisamente risollevato il mio orgoglio. Bene bene. E anche questi tutor (li chiamo così ma erano gli studenti addetti all'infopoint)...pensavamo che fossero migliori di noi, che fossero i tutor veri, e invece non erano a conoscenza nemmeno dell'esistenza della nostra meta. In compenso rimorchiavano alla grande!

domenica 4 settembre 2011

Il profumo dell'autunno

Bene. Ieri ho visto l'autunno finalmente! Fa ancora caldo ma il grigio dell'autunno è inconfondibile. Anche la pioggia ha un odore diverso. L'asfalto si impregna, riflette tutte le luci dei semafori, delle macchine, fa un rumore particolare quando viene calpestato, si impregna di umido e di foglie. C'era un artista che faceva dei quadri che rendevano benissimo l'idea ma non mi ricordo come si chiama (se qualcuno lo sa..).
Il profumo dell'autunno è un mix interessante: a parte l'asfalto bagnato abbiamo note di carta stampata e di caffè, di cicca alla menta e di cioccolata calda, di brioche surgelata e scaldata al microonde e di stress, di naftalina e di lana, di alcool, di chiuso...è un odore così familiare che ha qualcosa di ancestrale, di viscerale. Mi fa sentire bene e ieri l'ho sentito nell'aria. L'autunno si avvicina finalmente! E quando arriverà l'inverno sarà ancora meglio!
E così da ieri ho 24 anni. Mmmmmm...sarebbe troppo scontato fare l'ennesimo bilancio della mia vita fin quì. Ormai bilancio talmente tanto che avrei bisogno del CERN per calcorale i decimali con una bilancia atomica.
Sarebbe scontato anche fare propositi per il futuro. Un pò perchè mi fanno paura, un pò perchè queste cose (chissà perchè, poi) si fanno a Capodanno (tra l'altro devo dire che i miei propositi dello scorso Capodanno li ho mantenuti abbastanza- a parte quello della palestra chiaramente, ma quello è un proposito che si fa a prescindere per sentirsi la coscienza a posto, sapendo già che non verrà mantenuto..).
Quindi. Niente bilanci e niente propositi. Mi godo l'atmosfera dell'estate indiana.

giovedì 1 settembre 2011

Post schizzofrenico: 1) Imparare a dire no. 2) Le porte dell'Esselunga si chiudono alle 19.00

Niente giri di parole stavolta. Buttiamoci subito a capofitto nei temi di questo post.
Bisogna imparare a dire di no. Eh si bisogna imparare a dire di no. Perchè è tanto bello essere yesmen ma bisogna anche fare i conti con la realtà. E' inutile che io dica che posso fare una cosa se non la posso fare (leggi anche "voglio"). Dico sì perchè, a volte dire no fa brutto. Poi magari uno si offende. Da un no possono derivare diverse conseguenze non sempre gradite. Dal sì...beh intanto vediamo. Intanto non mi sono chiusa una porta e ho detto si. Al massimo poi disdico. E qui casca l'asino! Dicendo sempre si, tengo aperta una porta senza sapere se devo passare e intanto entra il freddo e si crea corrente (poi viene il mal di gola e ci si deve imbottire di schifosissima propoli). Mi spiego meglio. Se so dall'inizio che una cosa non la posso fare, o non ho voglia di farla, o non sono in grado di farla, meglio dire no subito. Così chiudo la porta e lascio che l'interessato possa trovare qualcun altro a cui dare la chiave (certo, Trimarchi 'ste cose le spiega con molto più stile..). Lo dico come promemoria personale, ma anche in generale. Se vi chiedo una cosa, qualunque cosa, di qualunque natura, tipo, specie, forma, grandezza, importanza, se non vi sentite in grado di darmela ditemi no subito. "No guarda Franci, non ce la faccio, devo controllare la scadenza degli yogurt in frigo e non ho tempo". "No, Franci, mi spiace ma sono così occupato a pettinare le Barbie che proprio non faccio in tempo". Amici come e più di prima. Ma così almeno posso provvedere diversamente.
Magari questi yesmen della domenica sono anche in buona fede, poveri. Magari dicono sì credendoci davvero. Ma il più delle volte dicono dei sì che vogliono dire no. Ora, siccome su una scala da 1 a 10 io, nelle mie relazioni interpersonali, sono sincera 9,5, mi chiedo perchè le altre persone, bene che vada sono sincere 7,5/8 (a stere larghi). Forse perchè sono più sgamati, ma certe volte, che bisogno c'è di essere sgamati? Cioè, se si è sgamati anche in certe situazioni, quand'è che si è sè stessi? E poi va a finire che passo le serate ad arrovellarmi il Gulliver su cavolate come "essere di più me stessa" " limitarmi meno"...Al diavolo! Agli altri, evidentemente bisogna dare solo quello che si aspettano. Dire tanti sì, come quelli che si dicono alla mamma quando ci manda a fare qualche commissione noiosa, tipo "sì, dopo vado" e poi non andare.
A parte questo...vorrei ripspondere a Lucy, avevamo intrattenuto uno scambio di post anche qualche mese fa, remember?
Ho letto il suo post di martedì e mi sono sentita chiamata in causa in qualità di neogiurista (che titolone...) e mi sono messa a riflettere.
Al mondo ci sono persone insicure. Mi danno tanto sui nervi ma ci sono. Esistono. E mi annovero tra di loro (sottointeso che mi do sui nervi da sola..). Purtroppo c'è chi ha avuto l'immenso dono di sapere ciò che vuole da se stesso e dalla vita e le energie per ottenerlo, e c'è chi, come me, ha preso solo tranvate ogni volta che si è azzardato a pensare di direzionare la sua vita.
Da innocente neodiplomata piena di sogni e speranze, fiduciosa nella vita e nel futuro, ho passato l'estate della maturità, quella che avrei dovuto trascorrere tra spiagge e ragazzi, a studiare. Studiare perchè pensavo che la mia strada fosse fare il medico. Volevo quello dalla vita, punto. Non c'erano alternative. E allora, finiti gli esami mi sono messa sotto e ho studiato. Ho anche frequentato dei corsi supplementari, a Milano, che mi comportavano di prendere il treno ogni mattina alle 6 (era agosto...), 2 metro e 10 minuti a piedi. Ma ci credevo. Credevo in me. Poi TRAK! qualcosa si è rotto quando ho visto che il mio nome sulla graduatoria non c'era. E adesso? Il vuoto. Parlo di vuoto emozionale. Un baratro, un buco nero. Invece di fare come molti, iscrivermi a biologia e riprovare l'anno dopo, ho voltato le spalle al brillante futuro di un chirurgo che non era nemmeno riuscito a superare il test d'ingresso all'università (spinta anche dall'influenza di altre persone), ho seguito un consiglio autorevole e mi sono iscritta a giurisprudenza. Guarda caso quell'anno l'Insubria apriva giurisprudenza a Varese. A 100 m da casa, non dovevo nemmeno attraversare la strada, vah che fortuna! E poi ormai il 20 di settembre anche la Cattolica aveva chiuso le immatricolazioni. E così eccomi là, giurista per caso, depressa e svogliata. Eccomi là che prendo una decisione: cascasse il mondo io tra 5 anni sono fuori di qui. E dunque eccomi qua, fuori di lì in 4 anni e mezzo. Certo, in 4 anni e mezzo ne cambiano di cose. Perchè dopo anni di diritto, accorgendoti, tra l'altro, che fare questa cosa ti riesce anche bene, senza sforzo, chi ha voglia di ricominciare a studiare chimica? Il problema, quello che non avevo proprio messo in conto, era che ad un certo punto cominciasse a piacermi! Pensavo che mi avrebbe fatto schifo per sempre! Che sarei diventata avvocato per inerzia, magari chiudendomi in uno studiolo qui a Varese, piccolo ma avviato, a risolvere le mie brave liti condominiali. Invece RITRAK! Qualcos altro è cambiato quando mi sono accorta che tutto questo non mi faceva così schifo. Anzi, mi piaceva, Stavo assorbendo la forma mentis giusta e tra una menata e l'altra diventavo più consapevole. Eh già. Consapevole di cosa non potevo più fare. Di quante porte mi ero chiusa accettando voti mediocri ottenuti studiando in una settimana. E così eccomi qui, con un voto di laurea la cui unica consolazione è di rientrare per un pelo nei "pieni voti", mille porte aperte davanti e io...io sono l'ultima della fila davanti ad ognuna.
Tutto questo per dire (se no invece di un post scrivo un libro)...Non si tratta di mediocrità nella preparazione, o di rifugiarsi in una carriera facile per avere il tempo di fare la spesa all'esselunga entro le 19. Anzi, quando mi sento dire aberrazioni tipo "sei una donna, fai il magistrato così hai la maternità e degli orari umani" oppure "i magistrati non fanno un cavolo e guadagnano un botto" mi vengono le bolle (ma d'altronde quale categoria di professioni legali non soffre di pregiudizi del genere?). Almeno nel mio caso si tratta di un ritardo. E del mio misero tentativo di salvare il salvabile, di trovare un nuovo obiettivo, una nuova meta che mi faccia correre a tutta velocità verso qualcosa che, a mia insaputa, è nascosto dietro un vetro infrangibile contro il quale andrò a sbattere facendomi un male assurdo. Vorrei essere preparata, vorrei essere brava, vorrei essermene accorta prima ed essermi laureata con 125 lode bacio accademico, vorrei essere rimasta in università, vorrei un lavoro che non mi faccia tornare a casa la notte e che mi faccia dimenticare di fare la spesa e anche di mangiare, vorrei sapere che sono in grado di affrontarlo. Invece faccio a pugni con i miei limiti. Ma tant'è, posso rimproverare solo me stessa. E' finita l'era degli alibi. Ma non si tratta di "approvazione dell'happy hour" o di desiderio impellente di fare la spesa all'esselunga prima delle 19. Faccio la mia fila e spero che la porta non mi si chiuda sulle dita.

lunedì 29 agosto 2011

Pizza al foi gras

Fantastica la mia radio! Oltre a trasmettere praticamente le stesse canzoni del mio i pod, mi fornisce sempre qualche spunto divertente. Mica per niente si chiama Radio Numberone!
Stamattina Emilio Bianchi ha letto una notizia riportata sul Corriere che mi ha lasciata un pò così: il Ministro dell'economia francese ha deciso di imporre una nuova tassa. E fin qui...
L'ha chiamata "tassa sull'obesità" ma riguarda solo ed unicamente le bibite gasate con l'aggiunta di zucchero. Avete capito bene. La Francia ha tassato la Coca Cola.
Ora. Premesso che io avrei sollevato una rivolta popolare che Luigi XVI se la sognava, il conduttore faceva notare come il Corriere (e tutti noi) si chiedesse perchè mai la tassa sull'obesità incidesse sulla Coca Cola e non, che ne so, sul foi gras. Il grasso del fegato d'oca amalgamato nel burro non fa forse ingrassare? Non ostruisce le arterie?
Allora ecco che le due correnti dottrinali tornano a scontrarsi sull'annosa questione "Libertà della persona o tutela delle casse pubbliche attraverso il controllo (abbastanza buonista) della salute?" Eh si, perchè se io mi imbottisco di fegato d'oca e mi viene un infarto influisco sulle casse della sanità pubblica tanto quanto uno che, poveretto, ha un infarto ma si nutre solo di sedano crudo, ma c'è chi ritiene che siccome io, come dire, me la sono cercata, merito meno che vengano spesi soldi pubblici per curarmi. Lo stesso principio che ci spinge a chiederci: "un alcolizzato ha meno diritto di ricevere un trapianto di fegato di uno che ha, che ne so, un tumore?".
Altro fronte della questione era: "quanto, da 1 a 10, è ipocrita tassare prodotti gestiti e distribuiti da multinazionali estere e non quelli della stessa natura prodotti da imprese francesi?".
Il dubbio sorge ampliando il discorso ad altre tasse imposte di recente dal ministro francese: quella sulle sigarette e quella sui superalcolici. Si. Tutti tranne il rum. E perchè il rum no? Perchè il rum è prodotto con la canna da zucchero che viene coltivata nei caraibi da alcuni produttori francesi nostalgici del periodo coloniale.
Ecco, qui mi sento di fare un discorso diverso: mettiamoci per un attimo nei panni del Poverogiulio (tutto attaccato, ormai è diventato un unico nome) che si trova tra capo e collo la più grande crisi dei mercati dal 1929. Ormai le ha provate tutte, si è perfino dovuto tagliare lo stipendio. E' arrivato anche a concepire il ridimensionamento del menù del ristorante del Senato.
Gli rimane solo da tassare gli italiani grassi. Allora il Poverogiulio penserà che siccome i carboidrati gonfiano bisognerà tassare i carboidrati. Quali carboidrati sarà più conveniente tassare in Italia, le baguette o le pizze?
Per quanto sia ipocrita tassare tutti i superalcolici tranne il rum perchè è prodotto dai francesi, ne vogliamo proprio fare una colpa? Cioè, se io mi trovassi a dover risollevare l'economia italiana cercherei di promuovere i prodotti interni, provvederei a tassare prima le baguette della pizza. Poi si finirà col tassare anche quella, ma intanto...

domenica 28 agosto 2011

L'onda e lo scoglio

Scogli o onde? Questo è il problema. Siamo scogli o onde? E' la domanda che mi sono posta stamattina. Siamo dura roccia ancorata alla razionalità, fermi mentre tutto intorno a noi si muove, o siamo onde di irrazionalità che dondolano e si infrangono sulla spiaggia? Curioso il fatto che pensando a questa immagine mi sia figurata un mare in tempesta. Lo scoglio sempre fermo lì in mezzo, ma le onde che lo circondano sono agitate, nere e scure, inquiete e rabbiose. Innanzitutto mi chiedo se sia più difficile fare l'onda o fare lo scoglio. L'onda è peregrina, non sa dove finirà, si schianterà contro una parete rocciosa, rotolerà sulla spiaggia dissolvendosi in spuma, oppure dondolerà nel mare, senza meta, nella più totale insicurezza. Lo scoglio è sempre lì fermo, vede il mare che si agita intorno a lui e si fa corrodere dal sale, ma è sempre sicuro della sua stabilità. Poi mi chiedo se sia più comodo fare l'onda o lo scoglio. L'onda è liquida, senza legami, lascia liberi i pesci di muoversi attraverso di lei, li influenza un pochino con il suo moto placido. Lo scoglio invece è qualcosa a cui ci si aggrappa nei momenti di tempesta, ma allo stesso tempo un sasso duro contro cui sbattere la testa.
Morale: siamo scogli o onde? Razionalità o irrazionalità? Ci aggrappiamo alla realtà o partiamo per la tangente? Innanzitutto cerchiamo di non fare di tutta l'erba un fascio. Intendiamoci, ognuno può scegliere di essere onda o scoglio (maiale o gallina, come diceva qualcuno...ok, la spiego brevemente: della gallina mangiamo le uova, del maiale mangiamo le costine. La gallina contribuisce, il maiale mette tutto se stesso. Bisognerebbe sempre chiedersi, in un rapporto umano, se si preferisce essere maiale o gallina), con i relativi pro e contro. E credo che il punto sia proprio questo. Dipende da noi, essere l'una o l'altra cosa. E' una scelta. E come tale va seguita con coerenza. Scegliere di essere onda, però, ha una conseguenza in più: che seguire coerentemente la filosofia dell'onda ti porta all'incoerenza, creando un circolo vizioso e confuso. Ma chi l'ha detto che in un mondo di scogli non vada bene anche essere un pò incoerenti? Credo che questa potrebbe essere una delle sfide più grandi per me: essere onda, essere incoerente, fare qualcosa completamente privo di senso, e magari contraddirmi un secondo dopo. Alla fine solo essendo incoerenti si riesce ad essere veramente liberi? E' questa la chiave? E cosa succede quando la mia incoerenza incontra uno scoglio, o meglio, quando la mia libertà incontra quella di qualcun altro? Mia nonna diceva che la libertà di ognuno finisce dove comincia quella degli altri. Io mi sono sempre sentita presa per i fondelli da questa massima, perchè, per come sono fatta, la mia libertà nemmeno comincerebbe, perchè sarebbe circondata dalle libertà di tutti gli altri. E allora quando sarebbe il mio turno? Quando tocca alla mia libertà? "E lasciati andare!" direbbe V. Già. Fare l'onda, almeno per un pò, per vedere com'è dondolare (anche se soffro di mal di mare), essere egoista, impedire agli altri di attaccarsi come cozze, lasciare scivolare via tutto.
Poi stamattina, in maniera del tutto inconsapevole, V. ha detto una cosa che mi ha acceso una lampadina. Mi stava dicendo che la sveglia del cellulare non ha funzionato. Che dovrà portarsi una sveglia vera a Parigi. E io le ho detto: "Ma perchè, a Parigi ti devi programmare la sveglia? Sei in vacanza, dormi quanto ti pare! (Leggi: Fai l'onda)" e lei: "Si, ma devo girare, fare, vedere! E poi devo andare ad Euro Disney, devo svegliarmi!".
Allora ho pensato: eccolo! Eccolo il cancello della mia libertà, l'argine della mia scelta: lo scopo.
Perchè fare l'onda fa paura, il mare è grande, la tempesta è potente e il vento è sferzante. Fare lo scoglio è terribilmente noioso, e ha la controindicazione di essere continuamente consumati dal sale e dalle odiate cozze. Ma se si ha uno scopo, se si corre verso qualcosa, come una corrente, si riesce ad indirizzare la potenza dell'onda verso qualcosa che può farci sentire meno sperduti, meno in balia di noi stessi, meno frustrati. Si riesce a sopportare meglio il fatto che gli altri si appiccichino allo scoglio come gli antipatici frutti di mare, pur di raggiungere lo scopo.
E se subentra la quotidianità, a spargere il suo velo di noia e di immobilità su tutto, sta solo a noi smuovere le acque. Ci giustifichiamo con mille alibi: non ho tempo, sono stanca, devo studiare, devo lavorare, è colpa degli altri, devo devo devo.......non c'è devo che tenga. E' faticoso, è difficile e spesso richiede uno sforzo immenso, ma è solo la tensione verso qualcosa, la nostra volontà, che ci tiene a galla nel mare della quotidianità (che, per inciso, è un mare sempre in bonaccia).
Ma bisogna volerlo. Bisogna tenere la testa fuori e continuare a nuotare anche con i crampi, senza aspettare che arrivi Mich di Baywatch con il suo salvagente-supposta a tirarci fuori. Certo, nuotare verso qualcosa è più stimolante ma ogni tanto credo che sia già un miracolo mantenersi a galla e non lasciarsi andare alla tentazione di farsi sommergere, quando arriva il momento in cui nuotare fa talmente male che l'idea di lasciarsi coprire dal silenzio dell'acqua non fa più tanta paura.

venerdì 26 agosto 2011

Il panico Capita

Oh-mio-Dio. Non so se anche voi state assistendo allo stesso spettacolo che si propone fuori dalla mia finestra in questo momento (spero per voi di si). Sta piovendo. Non pensavo che, dopo l'estate che ha fatto quest anno, l'avrei mai detto ma... sta piovendo evviva!
Due deboli gocce, odore di asfalto bagnato e raggi di sole che penetrano attraverso le nuvole ma sta piovendo!
Piove con il sole (c'era anche una canzone dello Zecchino D'Oro che si chiamava "Piove con il sole" e credo che fosse di una bambina russa, bisognerebbe verificare).
Comunque con questo caldo incompatibile con la sopravvivenza della razza umana (almeno di quella stabilmente stanziata sulle Prealpi lombarde), passa la voglia di fare tutto. Compreso mangiare (che per me potrebbe rivelarsi una fortuna..). Ovviamente, la legge immutabile che regola le nostre vite (il Destino, direte voi. No, la legge di Murphy, dico io) ha voluto che questi insignificanti frutti del fenomeno di evaporazione e condensazione dell'acqua precipitassero dal cielo nell'istante esatto in cui la vaga idea di lavare la mia macchina ha bussato all'anticamera del mio cervello. Da ieri, infatti, posso dire senza mentire che la macchina frena! Oggi volevo poter dire che è pulita. Invece ora è di un delicato color panna chiazzato di viola con un piacevole effetto spruzzo, e le fiancate che sembrano trapiantate da un mezzo che ha attraversato il Rally del deserto...
A proposito di Rally, tra qualche settimana ricomincia la (mia) stagione sportiva, alla faccia di quelli che mi prendono in giro, alle spalle di chi mi annovera tra i praticanti di sport sfigati. la prossima gara a Lumezzane segnerà il giro di boa. Un anno esatto da Top driver. E son soddisfazioni (soprattutto visto come sono andate le ultime gare di maggio-giugno..). Comunque Lumezzane, l'anno scorso, è stata la dimostrazione della mia teoria secondo cui è il panico a giocare un ruolo decisivo nella dicotomia tra vittoria e sconfitta: ovviamente troppo panico ti porta a non capire più nulla e a confondere il bottone della sdoppiata con la levetta per aprire i deflettori, oppure a cominciare la gara convinto di aver controllato tutto, salvo accorgerti al primo tubo che non avevi collegato il cavo del pulsante con il Blitz...Ma una dose di panico accettabile, quel tanto che basta a far battere il cuore, tremare un pò le mani e asciugare la bocca, quella che ti fa spalancare gli occhi, bere 5 caffè prima di partire e ti impedisce di comunicare con qualunque essere umano senza cercare di staccargli la testa a morsi, beh quello è un panico sano. E immaginate la mia faccia, quando in mezzo alla gara, dopo una partenza niente male, mi accorgo con sgomento che il segnale della batteria del Trip lampeggia e realizzo di aver dimenticato di metterlo in carica durante la notte. Sta di fatto che il panico era tale che mi sono letteralmente inventata la strada, tenendo il Road book come vago riferimento e stabilendo le distanze a occhio, e il mio pilota non si è accorto di nulla. Sono magicamente riuscita a non sbagliare strada (cosa che non mi capita nemmeno quando ho due Trip a disposizione e la massima concentrazione) e sdoppiare bene nello stesso momento. Cioè, wow! Questo si chiama panico sano!
Sono cose che capitano una volta (se ti va bene) ogni tantissimo. Spero che Lumezzane (l'anno scorso si contendeva la testa del "Comuni sfigati d'Italia Challange" con Gropparello) porti bene e capiti di nuovo! D'altronde, come insegna Missincat in altro contesto (andate a sentirla è brava!)  "capita"!

domenica 21 agosto 2011

L'emozionante vita da spiaggia

Ah...Che bello essere qui! Il mio blog! Mi mancava un pò...Si, perchè in questa settimana di vacanza (non ancora finita, per giunta) ho avuto una serie di pensieri pressanti e nessuna valvola per sfogarli. Perchè in fondo questo blog è il luogo dei pensieri inascoltati, quelli che nessuno ha voglia di sentire al telefono o durante un aperitivo, ma che mi sento di comunicare al mondo lo stesso. In fondo chi si prende la briga di venire a leggere i miei pensieri sul blog lo fa sua sponte, mosso da un seppur minimo interesse personale, che magari non avrei saputo risvegliare a voce. Dunque ecco qui le mie riflessioni sull'ultimo libro che ho letto (meglio, sto ancora leggendo): "la mappa del tempo" di F.J. Palma., 2011. Titolo evocativo e trama avvincente. Due pecche: la traduzione (raramente ho letto libri tradotti peggio...voglio dire, passino le infelici scelte di adattamento, ma gli errori di grammatica ce li risparmiamo volentieri..) e alcune scelte, come dire, di ritmo. Ci sono passaggi leeeeentissimi di dubbia utilità narrativa e brevissime descrizioni dei punti cruciali e dei colpi di scena. Morale: una grande potenzialità mal sfruttata (per quanto la storia sia comunque piacevole e dotata di un disincanto in cui mi sono ritrovata molto).
Ma non ho passato la settimana immersa nella letteratura, come al solito. Ho trascorso il tempo cercando di capire i ritmi della città. Venezia è il regno dei clichè, il tempio del luogo comune. Qui si possono trovare tutti, ma proprio tutti gli stereotipi che contraddistinguono noi italiani: se cercate "pizza-pasta-mandolino" siete nel posto giusto! Mi chiedo perchè i professori di economia politica fatichino tanto a fare esempi di mercati nei quali viga la concorrenza perfetta: a Venezia il mercato delle maschere di cartapesta, per esempio, è in concorrenza perfetta, oppure quello delle inutili statuine di vetro, o quello della paccottiglia, come le gondole di plastica che ondeggiano e si illuminano e suonano "O' sole mio" (che poi, cosa cavolo c'entra "O' sole mio" con Venezia?). Qualunque tipo di inutile orpello che desideriate, qui c'è. Qualunque pacchianeria assolutamente priva di scopo qui trova la sua naturale ubicazione. Qualunque momento della giornata, ogni quartiere, ogni vocolo puzzolente è organizzato al fine di rendere piacevolmente banale il soggiorno di ogni turista. E il numero di turisti è impressionante. Venezia non ha abitanti suoi, ha i turisti. Un popolo a parte che si accontenta di vedere finte tipicità, di mangiare finte pizze e di comprare finti manufatti originali made in China.
Ma non solo! I turisti accettano di trasferirsi da una zona all'altra della città, magari carichi di valige dotate delle più avanzate tecnologie di spostamento (alcune hanno un numero di rotelle...secondo me sono anche cingolate..), a bordo di barconi strapieni di gente inondati dal sole fotografando ogni singola pantegana che si gode il caldo alla fermata Giardini.
Accettano di pagare cifre astronomiche per bere un caffè in Piazza S. Marco, accompagnati da un'orchestrina che, piegata anch'essa ai dettami delle moderne necessità del turismo, è passata dai classici della musica di ogni tempo ai classici della musica riconoscibile in ogni angolo del mondo, riducendo il repertorio a pochi selezionati brani: "O' sole mio" (immancabile), "La cucaracha" e la colonna sonora di "Tutti insieme appassionatamente". Allucinante.
E il turista non si limita a voler visitare la città, i canali e i gondolieri (sempre vestiti all'ultima moda con maglietta a strisce e cappellino di paglia, a cui si ispirano molti padri di famiglia giapponesi), no! Vuole vedere anche il mare, il Lido, i luoghi del Festival del cinema. E allora finisco con l'essere obbligata ad ascoltare una surreale conversazione tra una famigliola francese e la barista della nostra spiaggia (una poveretta di 70 anni che non parla una parola di italiano, figuriamoci di un'altra lingua che non sia il dialetto veneto..). La mamma francese voleva una macedonia, un'insalata di riso, due panini e una coca. Il papà francese indicava picchiando sulla vetrinetta ciò che la moglie cercava disperatamente di spiegare a cesti alla barista urlando -Salade de fruit! salade de fruit!. Ora. Se sotto allo scaffale con le macedonie c'è scritto "macedonia", cara mamma francese, cosa ti costa dire "macedonia"? perchè se io vengo a Parigi e ti chiedo una "macedonia" indicandoti la "salade de fruit" col cavolo che mi dai la mia macedonia! E la povera barista, che sfoggiava una lingua angloveneta fornmata da anni di contatti con i turisti cercava di spiegare che i panini avevano dentro la cotoletta di pollo urlando -cicche! chicche!. e la mamma -Oui oui! trì! Trì svp! Alla fine la transazione si è conclusa, la mamma francese è riuscita a decifrare il - tertisis- della barista e ha pagato quei benedetti 36 euro.

martedì 2 agosto 2011

La decade della pace dei sensi

Ieri ho inscatolato decine di migliaia di libri e altre cose che hanno fatto parte della mia quotidianità negli ultimi anni. Un lavoro immane. Faticosissimo, a livello fisico proprio (infatti oggi ho un mal di schiena assurdo). Forse la stanchezza, forse il male ai muscoli mi hanno impedito di rispondere per bene a chi ieri mi parlava di gap generazionale, o meglio di qualcosa che chiamerei "lotta tra decadi".
Ripensandoci oggi, col mal di muscoli sempre presente ma col cervello un pò più sveglio, ho elaborato una teoria. Meglio, questa teoria l'avevo già elaborata, ma me ne sono ricordata solo stamattina, in macchina, mentre ascoltavo Vasco (tra l'altro trovo che ci sia qualcosa di ancestrale in Vasco).
Il tema della discussione, forse generato da quel minimo di "orgoglio di decade" che caratterizza tutti noi, verteva sul fatto che gli anni '90 sono stati un decennio intellettualmente morto, dal quale è nata una generazione di rimbambiti tra i quali si salvano in pochi.
Gli anni '70 e '80, invece hanno visto passare diversi movimenti culturali (parliamo di cultura in generale, ma anche di cultura metropolitana), movimenti politici, stream ideologici.
Sarà perchè mi annovero nella generazione di smidollati che è cresciuta negli anni '90, e ho l'arroganza di pensare che non siamo stati poi questo gran fallimento.
Analizziamo la situazione.
Per quel che mi ricordo, i miei genitori hanno sempre lavorato. Entrambi. E siccome la bambina piccola da qualche parte va pur lasciata andava a finire che rimanevo interi pomeriggi in ufficio, oppure a scuola a tener compagnia alla suora portinaia (che in tutto quel tempo poteva almeno insegnarmi a ricamare, invece si faceva i suoi centrini da sola..). Ma la maggior parte delle volte ero a casa della nonna, o a casa di una vicina che aveva due figlie della mia età. Sta di fatto che la miglior compagna della mia infanzia è stata la televisione. Credo che questa cosa valga per un numero tale di ex bambini che hanno visto tutti le stesse cose, cresciuti tutti dagli stessi modelli e tormentati dalle stesse parole ripetitive, che già per questo si potrebbe parlare di movimento culturale. Ma di più. Se guardiamo i modelli che hanno segnato la mia generazione televisiva, non ce n'è uno originale. Mi spiego. Gli anni '90 sono stati un riflesso nostalgico degli anni '80. I palinsesti costituivano praticamente le repliche di ciò che genitori e fratelli maggiori avevano già visto e da cui erano stati a loro volta influenzati. Allora mi chiedo: se un movimento culturale propriamente detto è diffuso da mezzi di stampa, da libri, da correnti artistiche etc, perchè una generazione forgiata sul mezzo di comunicazione "televisione" non dovrebbe godere dello stesso rilievo culturale? Perchè guardando le cose come stanno, il mio interlocutore aveva anche ragione a dire che non abbiamo avuto dei veri movimenti, la pace dei sensi, negli anni '90. Niente ideologie politiche, niente giovani in piazza come negli anni '70, niente wind of change. Ci restava solo la televisione, quella scatola attraverso la quale vedere il mondo (finto credendo che fosse vero). E' altrettanto vero che la televisione è una invenzione che risale al 1950 circa, ma allora c'era anche altro. Quando non c'è più nulla rimane lei. E allora l'unico movimento che la società riesce a dare al cervello dei giovani passa per un cavo. E a ben guardare le esperienze che accomunano tutti quelli della mia generazione, quelle cose che tutti ma proprio tutti possono dire di aver visto o fatto, riguardano la scatola magica (fate il seguente esperimento: prendete un venti-due-treenne e intavolate un discorso tipo "ti ricordi quando...". Si finirà immancabilmente a parlare di Mila e Shiro. o di Ok il prezzo è giusto. Di quelle cose che richiamano l'infanzia in maniera rassicurante).
Che poi, voglio dire, senza svilirci completamente, si può dire che gli anni '90 sono stati protagonisti di un generalizzato "nostalgismo" confusionario. J Ax (grande esempio...) diceva in una sua canzone (funkytarro 1996): "Ho visto l'era Punk, quella metallara, quella dark, quella paninara, quella dei finti ricchi, quella dei finti poveri...." e alla fine si riconosceva in una sorta di ibrido, il Funkytarro ("il tamarro è sempre in voga perchè non è di moda mai"), formato sugli stereotipi mediatici del tempo fusi insieme ("sono trash come la Marini e Adriano Pappalardo"). E infatti non c'è un vero e proprio gruppo predominante (ma credo che non ci sia stato in nessuna epoca), uno in cui si riuniscono ideologie. Ci sono solo gruppi uniti dal fatto di immedesimarsi nello stesso stereotipo mediatico (qualcosa che chiamerei la "sindrome della velina e del calciatore"). Chi non riesce a riconoscersi in uno stereotipo è tagliato fuori. E siccome paradossalmente queste sono le persone alle quali rimane solo la propria personalità, va a finire che questa personalità si sente smarrita in se stessa, priva di modello, troppo giovane per aver letto le istruzioni per l'uso della libertà mentale, e finisce schiacciata o rovinata dalla mancanza di stereotipi.
Mi fermo, altrimenti il flusso di pensieri in libertà chissà dove mi porta. E poi ho fame.

domenica 31 luglio 2011

I problemi degli altri

Ok. Parliamone. Avete dei problemi? Padroni. Non giudico nessuno, per l'amor del cielo.
Ma che qualcuno abbia dei problemi con i fatti miei sinceramente mi secca. E che io debba rinunciare alla mia vita sociale per i problemi degli altri mi secca ancora di più.
E' difficile per me, ok. Ma perchè deve essere difficile anche per chi non c'entra niente? E' un lutto? Un dolore al quale ci si sente in dovere di partecipare schierandosi e prendendo posizioni? Fino a ieri amici e da oggi... beh da oggi un calcio nel sedere.
E chissenefrega di anni di rapporti umani costruiti (almeno da parte mia) con costanza e impegno? Oggi la stronza sono io.
Sapete perchè non si riesce a mantenere buoni rapporti umani dopo la fine di una storia? Perchè abbiamo stereotipi sbagliati. Perchè nessuno ci crede. Perchè gli amici comuni si schierano. Manco ci fosse una divisione dei beni: Tizio a te Caio a me. Se gli amici (o presunti tali chiaramente) si facessero i fattacci loro, continuando a comportarsi come sempre, senza tagliare fuori lo/la stronzo/a di turno, se si credesse di più nella sopravvivenza di un rapporto umano (ma umano sul serio, di chi ha condiviso tanto, indipendentemente da tutto), l'intelligenza delle persone farebbe il resto (sarò ingenua a credere nell'intelligenza delle persone...ma non si può prescindere dal contesto).
Grazie. Comunque grazie.
E meno male che mai nella vita ho avuto la sensazione di capire quali fossero i veri amici. Quelli che ho chiamato i miei cavi di sicurezza. Perchè in questo caso, se non ci fossero stati, la caduta libera avrebbe avuto effetti devastanti.
E ci sarà anche chi dice che odia quando dico a-ha, ma quando ce vò ce vò: A-HA...

sabato 30 luglio 2011

La gente che sta bene vive a Monza

Oggi sono stata a Monza. Parliamone. Diciamo che la prima impressione che ho avuto è stata di aver trovato quella famosa "Gente che sta bene" di cui parla F. nel suo libro. Si, la gente che sta bene vive decisamente a Monza. Il Monzese tipo incarna lo stereotipo dell'imprenditore brianzolo, ricco abbastanza da avere la seconda casa al mare, lo skipass stagionale per l'inverno, la Porsche, due figli, magari un cane, l'abbonamento in palestra e il parrucchiere settimanale, ma non abbastanza da potersi permettere di essere eccessivamente snob.
Gli uomini sono brizzolati, hanno la pancetta ma vanno in palestra per buttare giù qualche chilo, hanno il rolex e la Polo, indossano i Jekerson color cachi e le scarpe da barca (che poi cosa porti a fare le scarpe da barca se la barca non ce l'hai?). Le signore hanno i capelli biondi con i colpi di sole in evidenza, il tubino di colori pastello, le ballerine scamosciate oppure il sandalo con la zeppa di sughero, portano orecchini d'oro e il filo di perle, hanno la fede di Pomellato, la borsa di Vuitton. Enorme.
Le bambine hanno le guance rosse e le trecce, la polo di Burberry's, il passeggino Inglesina. Non piangono. Sorridono e mangiano il gelato senza sporcarsi.
Percentuale di tamarri per le vie della città: inferiore al 5%. Ammirevole. La città Mulino Bianco! Le persone si incontrano per strada e si salutano con 3 baci, gli uomini si stringono la mano mostrando i perfetti risultati dello sbiancamento dentale, si invitano a cena, si invitano al brunch domenicale. Aleggia su tutto un aura di cordialità di convenienza (ma chi sono io per dire che non si tratta di cordialità sincera? Lo spero per loro!), un alone di... di Mulino Bianco, appunto, quasi innaturale. E ti chiedi come fanno ad essere tutti così felici, così belli ed eleganti. Monza ha l'aria della piccola cittadina di provincia sulla quale, però, forse arriva, portata dal vento o vaporizzata insieme ai pesticidi, la nube intossicante milanese (e dico intossicante in senso buono..cioè diciamocelo, il milanese tipo è un pò diverso dal brianzolo, ha un che di più nevrotico, cammina almeno a 70 km/h  col limite a 50, però ha anche l'aria beffarda del successo dipinta in faccia -come la "gente che sta bene" di F., appunto).
Comunque lodi a Monza, cittadina a misura d'uomo, tutto sommato. Non mi dispiacerebbe. Che i Monzesi abbiano trovato la formula per stare bene senza essere provinciali? Per essere milanesi senza vivere a Milano? Per avere l'aria buona senza vivere in campagna? Oppure sono tutti imprigionati in tante microstorie alla "Baciami ancora", e prima o poi daranno fuori di testa come Stefano Accorsi?

sabato 23 luglio 2011

castelli di sabbia postsbronza

E così eccoci qui.
Finito. Abbiamo espletato tutti i clichè del caso: abbiamo la foto con la tesi (però la tesi era viola!) e la corona d'alloro, le foto con la famiglia, con le amiche, stretta di mano ai professori, toghe nere, regali, sbronze, feste, margarita...manca forse solo il lancio del tocco in stile Harward (ma tra qui e Harward...).
Ok non ho intenzione di lanciarmi nell'ennesimo post nostalgico o dire qualcosa tipo "che ne sarà di me, ora?" (cosa che, per inciso, mi terrorizza...in uno dei bigliettini che accompagnavano i regali che ho ricevuto c'era scritto: "ora hai davanti la tua vita", ho pensato: "ok, calma, respira...").  Ho deciso di optare per un post leggero.
Oggi sono andata a giocare a tennis con le W.O.M. e ovviamente C. ha mostrato il suo stile a cominciare dal completino a tema Maria Sharapova. Io invece ho preferito una tenuta da shampista di Agassi. E nel tennis ho più o meno il talento che la shampista di Agassi ha nell'arte dell'acconciatura. Ho proposto una mission al lago, con canna e vermi ma le W.O.M. non erano molto entusiaste..In questa settimana di ozio ho avuto tempo per vedere un sacco di film, seguire qualche consiglio in arretrato. Prevedo di leggere tutto quello che ho accumulato in mesi di delirio, di sinusite psichica, come direbbe qualcuno.
Il fatto è che la sinusite psichica non è ancora finita. Non so. Non riesco a capire se sono ancora preda dell'ansia, se non ho ancora metabolizzato l'esperienza (in fondo è stata una cosa intensa..ci vorrà un pò per metabolizzare), se ho talmente tanta paura del dopo da non riuscire a pensare, oppure se sono ripiombata nel buio dell'anima, nell'anestesia (in)cosciente o come vogliamo chiamarla. Il fatto è che mi sento viva ad alternanza e il momento di maggior vitalità della settimana è stato ieri sera, quando il mio cervello si era preso mezza giornata di permesso per lasciar spazio alla tequila, quindi figuriamoci con quanta lucidità riesco ad immaginare dove sarò tra 2 mesi. O meglio, so dove vorrei essere tra 2 mesi, il problema è elaborare una strategia convincente per arrivarci. Cioè. Avessi studiato scienze della comunicazione, a quest'ora mi starei preparando per Venezia, starei cercando un vestito per il red carpet e tutte le star, i grandi registi e tutto l'entourage sarebbero in preda all'ansia per il giudizio della più grande e arguta critica cinematografica del mondo (scontato, no?). Avessi fatto medicina sarei all'ingresso della sala operatoria, mi starei lavando le mani, forse starei baciando un chirurgo figo come il Dr. Sheperd.... Avessi fatto lettere sarei a fare l'aperitivo con il mio editore che sta opzionando il mio secondo romanzo che si preannuncia un best seller almeno quanto il primo. Ma ho fatto giurisprudenza. E sono seduta per terra, col computer rotto che continua a fare un rumore infernale, una canzone appena scoperta a palla per la trentesima volta, con un disordine mentale almeno equivalente a quello della mia camera (chissà se anche il mio cervello archivia i pensieri a mucchi, come io archivio tutto quanto!). L'altro giorno ero da Blockbuster con C. e V. per una seduta di shopping cinematografico/letterario terapeutico e, passaggiando tra i DVD, ho pensato che avrei dovuto fare la regista. Il mio film sarebbe bellissimo. Vincerebbe un sacco di Oscar, Palme d'oro, Orsi e Leoni. E che palle giurisprudenza. Dovevo studiare cinema. Ma alla fine chi mi impedisce di scrivere un film e dirigerlo lo stesso? Lo farò. In fondo nel mio cervello ne succedono di cose strane..ci sarà pure materiale per un bel film (cioè vogliamo mettere con Avatar?). Coco Chanel ha passato la sua giovinezza in casa del suo amante a leggere romanzetti rosa, mantenuta e nell'ozio più totale. Poi a più di 30 anni, lei che aveva la reputazione della scemetta del villaggio, ha scoperto di essere Coco Chanel, destinata ad influenzare pesantemente le scelte di milioni di persone. Trota, figlio di un Ministro, uno il cui cervello si prende le ferie decisamente troppo spesso, che ha dato l'esame di maturità 3 volte, senza arte nè parte in alcuna branca utile nella vita, è consigliere regionale e guadagna decine di migliaia di euro al mese. Alla fine tutti possono sorpredere (anche se stessi). Perchè mai dovrebbe andar male a me?

venerdì 15 luglio 2011

In diretta dall'aula tutor

Post in diretta. Ci vuole.
Ho tagliato il cordone ombelicale. Quello che mi legava a questo posto. Ho ufficialmente eliminato la mia impronta dall'aula tutor. Ora sembra incredibilmente grande. Sembra vuota. Forse perchè più che con le nostre cose l'avevamo riempita della nostra presenza. Ora la nostra assenza non solo si vede ma si sente. Guardo la parete di fianco a me e vedo C. in piedi sul tavolo che fissa la bandiera della Svizzera con le puntine. Guardo la scrivania alla mia destra e vedo M. che litiga con V. perché non vuole provare la parrucca viola. Guardo la finestra e vedo T. che cerca di ripararla in piedi sul davanzale. Guardo la sedia vuota davanti a me e vedo C. che mangia un panino. Guardo addirittura i fili elettrici e vedo M. e C. che li fissano al pavimento con lo scotch (era una mia idea!).
Guardo fuori dalla porta e vedo il viavai di una mattina di lezione, sento le voci dei professori, sento R. che urla e che ci sgrida per il pollaio, sento l'odore della carta stampata.
Poi torno alla realtà. Vedo paura e incertezza. Emozione e... e qualcosa. Non so cosa ma qualcosa c'è. Deve esserci. Dopo, dico. Cosa c'è dopo? Sono sull'orlo del baratro e guardo giù. Lunedì qualcuno mi darà una spinta (più o meno violenta) e cadrò giù (c'era anche una canzone che diceva "cado giù"). Non dico tutto questo come polemica sterile o come lamentela, o con sguardo autocommiserativo. Lo dico con sguardo nostalgico e mi chiedo cosa sia in realtà la nostalgia. Sono sempre stata convinta che la nostalgia sia un sentimento preventivo. Qualcosa che si può  provare solo vivendo un momento incredibilmente bello e, mentre lo si vive, si ha la sensazione tangibile della sua caducità e si è presi da una morsa allo stomaco pensando al prossimo futuro in cui la bellezza del momento sarà solo un ricordo. Ora vivo tutti quei ricordi. Tutto ciò che l'esperienza universitaria mi ha dato in termini umani più che in termini culturali. Mi chiedo se sia davvero importante il lato umano di questa esperienza, dal momento che nessun datore di lavoro mi chiederà mai di esporre la mia esperienza umana. Ma poi mi rispondo che preferisco aver vissuto tutta l'umanità possibile prima di non potermelo più permettere.