martedì 2 agosto 2011

La decade della pace dei sensi

Ieri ho inscatolato decine di migliaia di libri e altre cose che hanno fatto parte della mia quotidianità negli ultimi anni. Un lavoro immane. Faticosissimo, a livello fisico proprio (infatti oggi ho un mal di schiena assurdo). Forse la stanchezza, forse il male ai muscoli mi hanno impedito di rispondere per bene a chi ieri mi parlava di gap generazionale, o meglio di qualcosa che chiamerei "lotta tra decadi".
Ripensandoci oggi, col mal di muscoli sempre presente ma col cervello un pò più sveglio, ho elaborato una teoria. Meglio, questa teoria l'avevo già elaborata, ma me ne sono ricordata solo stamattina, in macchina, mentre ascoltavo Vasco (tra l'altro trovo che ci sia qualcosa di ancestrale in Vasco).
Il tema della discussione, forse generato da quel minimo di "orgoglio di decade" che caratterizza tutti noi, verteva sul fatto che gli anni '90 sono stati un decennio intellettualmente morto, dal quale è nata una generazione di rimbambiti tra i quali si salvano in pochi.
Gli anni '70 e '80, invece hanno visto passare diversi movimenti culturali (parliamo di cultura in generale, ma anche di cultura metropolitana), movimenti politici, stream ideologici.
Sarà perchè mi annovero nella generazione di smidollati che è cresciuta negli anni '90, e ho l'arroganza di pensare che non siamo stati poi questo gran fallimento.
Analizziamo la situazione.
Per quel che mi ricordo, i miei genitori hanno sempre lavorato. Entrambi. E siccome la bambina piccola da qualche parte va pur lasciata andava a finire che rimanevo interi pomeriggi in ufficio, oppure a scuola a tener compagnia alla suora portinaia (che in tutto quel tempo poteva almeno insegnarmi a ricamare, invece si faceva i suoi centrini da sola..). Ma la maggior parte delle volte ero a casa della nonna, o a casa di una vicina che aveva due figlie della mia età. Sta di fatto che la miglior compagna della mia infanzia è stata la televisione. Credo che questa cosa valga per un numero tale di ex bambini che hanno visto tutti le stesse cose, cresciuti tutti dagli stessi modelli e tormentati dalle stesse parole ripetitive, che già per questo si potrebbe parlare di movimento culturale. Ma di più. Se guardiamo i modelli che hanno segnato la mia generazione televisiva, non ce n'è uno originale. Mi spiego. Gli anni '90 sono stati un riflesso nostalgico degli anni '80. I palinsesti costituivano praticamente le repliche di ciò che genitori e fratelli maggiori avevano già visto e da cui erano stati a loro volta influenzati. Allora mi chiedo: se un movimento culturale propriamente detto è diffuso da mezzi di stampa, da libri, da correnti artistiche etc, perchè una generazione forgiata sul mezzo di comunicazione "televisione" non dovrebbe godere dello stesso rilievo culturale? Perchè guardando le cose come stanno, il mio interlocutore aveva anche ragione a dire che non abbiamo avuto dei veri movimenti, la pace dei sensi, negli anni '90. Niente ideologie politiche, niente giovani in piazza come negli anni '70, niente wind of change. Ci restava solo la televisione, quella scatola attraverso la quale vedere il mondo (finto credendo che fosse vero). E' altrettanto vero che la televisione è una invenzione che risale al 1950 circa, ma allora c'era anche altro. Quando non c'è più nulla rimane lei. E allora l'unico movimento che la società riesce a dare al cervello dei giovani passa per un cavo. E a ben guardare le esperienze che accomunano tutti quelli della mia generazione, quelle cose che tutti ma proprio tutti possono dire di aver visto o fatto, riguardano la scatola magica (fate il seguente esperimento: prendete un venti-due-treenne e intavolate un discorso tipo "ti ricordi quando...". Si finirà immancabilmente a parlare di Mila e Shiro. o di Ok il prezzo è giusto. Di quelle cose che richiamano l'infanzia in maniera rassicurante).
Che poi, voglio dire, senza svilirci completamente, si può dire che gli anni '90 sono stati protagonisti di un generalizzato "nostalgismo" confusionario. J Ax (grande esempio...) diceva in una sua canzone (funkytarro 1996): "Ho visto l'era Punk, quella metallara, quella dark, quella paninara, quella dei finti ricchi, quella dei finti poveri...." e alla fine si riconosceva in una sorta di ibrido, il Funkytarro ("il tamarro è sempre in voga perchè non è di moda mai"), formato sugli stereotipi mediatici del tempo fusi insieme ("sono trash come la Marini e Adriano Pappalardo"). E infatti non c'è un vero e proprio gruppo predominante (ma credo che non ci sia stato in nessuna epoca), uno in cui si riuniscono ideologie. Ci sono solo gruppi uniti dal fatto di immedesimarsi nello stesso stereotipo mediatico (qualcosa che chiamerei la "sindrome della velina e del calciatore"). Chi non riesce a riconoscersi in uno stereotipo è tagliato fuori. E siccome paradossalmente queste sono le persone alle quali rimane solo la propria personalità, va a finire che questa personalità si sente smarrita in se stessa, priva di modello, troppo giovane per aver letto le istruzioni per l'uso della libertà mentale, e finisce schiacciata o rovinata dalla mancanza di stereotipi.
Mi fermo, altrimenti il flusso di pensieri in libertà chissà dove mi porta. E poi ho fame.

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