domenica 21 agosto 2011

L'emozionante vita da spiaggia

Ah...Che bello essere qui! Il mio blog! Mi mancava un pò...Si, perchè in questa settimana di vacanza (non ancora finita, per giunta) ho avuto una serie di pensieri pressanti e nessuna valvola per sfogarli. Perchè in fondo questo blog è il luogo dei pensieri inascoltati, quelli che nessuno ha voglia di sentire al telefono o durante un aperitivo, ma che mi sento di comunicare al mondo lo stesso. In fondo chi si prende la briga di venire a leggere i miei pensieri sul blog lo fa sua sponte, mosso da un seppur minimo interesse personale, che magari non avrei saputo risvegliare a voce. Dunque ecco qui le mie riflessioni sull'ultimo libro che ho letto (meglio, sto ancora leggendo): "la mappa del tempo" di F.J. Palma., 2011. Titolo evocativo e trama avvincente. Due pecche: la traduzione (raramente ho letto libri tradotti peggio...voglio dire, passino le infelici scelte di adattamento, ma gli errori di grammatica ce li risparmiamo volentieri..) e alcune scelte, come dire, di ritmo. Ci sono passaggi leeeeentissimi di dubbia utilità narrativa e brevissime descrizioni dei punti cruciali e dei colpi di scena. Morale: una grande potenzialità mal sfruttata (per quanto la storia sia comunque piacevole e dotata di un disincanto in cui mi sono ritrovata molto).
Ma non ho passato la settimana immersa nella letteratura, come al solito. Ho trascorso il tempo cercando di capire i ritmi della città. Venezia è il regno dei clichè, il tempio del luogo comune. Qui si possono trovare tutti, ma proprio tutti gli stereotipi che contraddistinguono noi italiani: se cercate "pizza-pasta-mandolino" siete nel posto giusto! Mi chiedo perchè i professori di economia politica fatichino tanto a fare esempi di mercati nei quali viga la concorrenza perfetta: a Venezia il mercato delle maschere di cartapesta, per esempio, è in concorrenza perfetta, oppure quello delle inutili statuine di vetro, o quello della paccottiglia, come le gondole di plastica che ondeggiano e si illuminano e suonano "O' sole mio" (che poi, cosa cavolo c'entra "O' sole mio" con Venezia?). Qualunque tipo di inutile orpello che desideriate, qui c'è. Qualunque pacchianeria assolutamente priva di scopo qui trova la sua naturale ubicazione. Qualunque momento della giornata, ogni quartiere, ogni vocolo puzzolente è organizzato al fine di rendere piacevolmente banale il soggiorno di ogni turista. E il numero di turisti è impressionante. Venezia non ha abitanti suoi, ha i turisti. Un popolo a parte che si accontenta di vedere finte tipicità, di mangiare finte pizze e di comprare finti manufatti originali made in China.
Ma non solo! I turisti accettano di trasferirsi da una zona all'altra della città, magari carichi di valige dotate delle più avanzate tecnologie di spostamento (alcune hanno un numero di rotelle...secondo me sono anche cingolate..), a bordo di barconi strapieni di gente inondati dal sole fotografando ogni singola pantegana che si gode il caldo alla fermata Giardini.
Accettano di pagare cifre astronomiche per bere un caffè in Piazza S. Marco, accompagnati da un'orchestrina che, piegata anch'essa ai dettami delle moderne necessità del turismo, è passata dai classici della musica di ogni tempo ai classici della musica riconoscibile in ogni angolo del mondo, riducendo il repertorio a pochi selezionati brani: "O' sole mio" (immancabile), "La cucaracha" e la colonna sonora di "Tutti insieme appassionatamente". Allucinante.
E il turista non si limita a voler visitare la città, i canali e i gondolieri (sempre vestiti all'ultima moda con maglietta a strisce e cappellino di paglia, a cui si ispirano molti padri di famiglia giapponesi), no! Vuole vedere anche il mare, il Lido, i luoghi del Festival del cinema. E allora finisco con l'essere obbligata ad ascoltare una surreale conversazione tra una famigliola francese e la barista della nostra spiaggia (una poveretta di 70 anni che non parla una parola di italiano, figuriamoci di un'altra lingua che non sia il dialetto veneto..). La mamma francese voleva una macedonia, un'insalata di riso, due panini e una coca. Il papà francese indicava picchiando sulla vetrinetta ciò che la moglie cercava disperatamente di spiegare a cesti alla barista urlando -Salade de fruit! salade de fruit!. Ora. Se sotto allo scaffale con le macedonie c'è scritto "macedonia", cara mamma francese, cosa ti costa dire "macedonia"? perchè se io vengo a Parigi e ti chiedo una "macedonia" indicandoti la "salade de fruit" col cavolo che mi dai la mia macedonia! E la povera barista, che sfoggiava una lingua angloveneta fornmata da anni di contatti con i turisti cercava di spiegare che i panini avevano dentro la cotoletta di pollo urlando -cicche! chicche!. e la mamma -Oui oui! trì! Trì svp! Alla fine la transazione si è conclusa, la mamma francese è riuscita a decifrare il - tertisis- della barista e ha pagato quei benedetti 36 euro.

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