giovedì 1 settembre 2011

Post schizzofrenico: 1) Imparare a dire no. 2) Le porte dell'Esselunga si chiudono alle 19.00

Niente giri di parole stavolta. Buttiamoci subito a capofitto nei temi di questo post.
Bisogna imparare a dire di no. Eh si bisogna imparare a dire di no. Perchè è tanto bello essere yesmen ma bisogna anche fare i conti con la realtà. E' inutile che io dica che posso fare una cosa se non la posso fare (leggi anche "voglio"). Dico sì perchè, a volte dire no fa brutto. Poi magari uno si offende. Da un no possono derivare diverse conseguenze non sempre gradite. Dal sì...beh intanto vediamo. Intanto non mi sono chiusa una porta e ho detto si. Al massimo poi disdico. E qui casca l'asino! Dicendo sempre si, tengo aperta una porta senza sapere se devo passare e intanto entra il freddo e si crea corrente (poi viene il mal di gola e ci si deve imbottire di schifosissima propoli). Mi spiego meglio. Se so dall'inizio che una cosa non la posso fare, o non ho voglia di farla, o non sono in grado di farla, meglio dire no subito. Così chiudo la porta e lascio che l'interessato possa trovare qualcun altro a cui dare la chiave (certo, Trimarchi 'ste cose le spiega con molto più stile..). Lo dico come promemoria personale, ma anche in generale. Se vi chiedo una cosa, qualunque cosa, di qualunque natura, tipo, specie, forma, grandezza, importanza, se non vi sentite in grado di darmela ditemi no subito. "No guarda Franci, non ce la faccio, devo controllare la scadenza degli yogurt in frigo e non ho tempo". "No, Franci, mi spiace ma sono così occupato a pettinare le Barbie che proprio non faccio in tempo". Amici come e più di prima. Ma così almeno posso provvedere diversamente.
Magari questi yesmen della domenica sono anche in buona fede, poveri. Magari dicono sì credendoci davvero. Ma il più delle volte dicono dei sì che vogliono dire no. Ora, siccome su una scala da 1 a 10 io, nelle mie relazioni interpersonali, sono sincera 9,5, mi chiedo perchè le altre persone, bene che vada sono sincere 7,5/8 (a stere larghi). Forse perchè sono più sgamati, ma certe volte, che bisogno c'è di essere sgamati? Cioè, se si è sgamati anche in certe situazioni, quand'è che si è sè stessi? E poi va a finire che passo le serate ad arrovellarmi il Gulliver su cavolate come "essere di più me stessa" " limitarmi meno"...Al diavolo! Agli altri, evidentemente bisogna dare solo quello che si aspettano. Dire tanti sì, come quelli che si dicono alla mamma quando ci manda a fare qualche commissione noiosa, tipo "sì, dopo vado" e poi non andare.
A parte questo...vorrei ripspondere a Lucy, avevamo intrattenuto uno scambio di post anche qualche mese fa, remember?
Ho letto il suo post di martedì e mi sono sentita chiamata in causa in qualità di neogiurista (che titolone...) e mi sono messa a riflettere.
Al mondo ci sono persone insicure. Mi danno tanto sui nervi ma ci sono. Esistono. E mi annovero tra di loro (sottointeso che mi do sui nervi da sola..). Purtroppo c'è chi ha avuto l'immenso dono di sapere ciò che vuole da se stesso e dalla vita e le energie per ottenerlo, e c'è chi, come me, ha preso solo tranvate ogni volta che si è azzardato a pensare di direzionare la sua vita.
Da innocente neodiplomata piena di sogni e speranze, fiduciosa nella vita e nel futuro, ho passato l'estate della maturità, quella che avrei dovuto trascorrere tra spiagge e ragazzi, a studiare. Studiare perchè pensavo che la mia strada fosse fare il medico. Volevo quello dalla vita, punto. Non c'erano alternative. E allora, finiti gli esami mi sono messa sotto e ho studiato. Ho anche frequentato dei corsi supplementari, a Milano, che mi comportavano di prendere il treno ogni mattina alle 6 (era agosto...), 2 metro e 10 minuti a piedi. Ma ci credevo. Credevo in me. Poi TRAK! qualcosa si è rotto quando ho visto che il mio nome sulla graduatoria non c'era. E adesso? Il vuoto. Parlo di vuoto emozionale. Un baratro, un buco nero. Invece di fare come molti, iscrivermi a biologia e riprovare l'anno dopo, ho voltato le spalle al brillante futuro di un chirurgo che non era nemmeno riuscito a superare il test d'ingresso all'università (spinta anche dall'influenza di altre persone), ho seguito un consiglio autorevole e mi sono iscritta a giurisprudenza. Guarda caso quell'anno l'Insubria apriva giurisprudenza a Varese. A 100 m da casa, non dovevo nemmeno attraversare la strada, vah che fortuna! E poi ormai il 20 di settembre anche la Cattolica aveva chiuso le immatricolazioni. E così eccomi là, giurista per caso, depressa e svogliata. Eccomi là che prendo una decisione: cascasse il mondo io tra 5 anni sono fuori di qui. E dunque eccomi qua, fuori di lì in 4 anni e mezzo. Certo, in 4 anni e mezzo ne cambiano di cose. Perchè dopo anni di diritto, accorgendoti, tra l'altro, che fare questa cosa ti riesce anche bene, senza sforzo, chi ha voglia di ricominciare a studiare chimica? Il problema, quello che non avevo proprio messo in conto, era che ad un certo punto cominciasse a piacermi! Pensavo che mi avrebbe fatto schifo per sempre! Che sarei diventata avvocato per inerzia, magari chiudendomi in uno studiolo qui a Varese, piccolo ma avviato, a risolvere le mie brave liti condominiali. Invece RITRAK! Qualcos altro è cambiato quando mi sono accorta che tutto questo non mi faceva così schifo. Anzi, mi piaceva, Stavo assorbendo la forma mentis giusta e tra una menata e l'altra diventavo più consapevole. Eh già. Consapevole di cosa non potevo più fare. Di quante porte mi ero chiusa accettando voti mediocri ottenuti studiando in una settimana. E così eccomi qui, con un voto di laurea la cui unica consolazione è di rientrare per un pelo nei "pieni voti", mille porte aperte davanti e io...io sono l'ultima della fila davanti ad ognuna.
Tutto questo per dire (se no invece di un post scrivo un libro)...Non si tratta di mediocrità nella preparazione, o di rifugiarsi in una carriera facile per avere il tempo di fare la spesa all'esselunga entro le 19. Anzi, quando mi sento dire aberrazioni tipo "sei una donna, fai il magistrato così hai la maternità e degli orari umani" oppure "i magistrati non fanno un cavolo e guadagnano un botto" mi vengono le bolle (ma d'altronde quale categoria di professioni legali non soffre di pregiudizi del genere?). Almeno nel mio caso si tratta di un ritardo. E del mio misero tentativo di salvare il salvabile, di trovare un nuovo obiettivo, una nuova meta che mi faccia correre a tutta velocità verso qualcosa che, a mia insaputa, è nascosto dietro un vetro infrangibile contro il quale andrò a sbattere facendomi un male assurdo. Vorrei essere preparata, vorrei essere brava, vorrei essermene accorta prima ed essermi laureata con 125 lode bacio accademico, vorrei essere rimasta in università, vorrei un lavoro che non mi faccia tornare a casa la notte e che mi faccia dimenticare di fare la spesa e anche di mangiare, vorrei sapere che sono in grado di affrontarlo. Invece faccio a pugni con i miei limiti. Ma tant'è, posso rimproverare solo me stessa. E' finita l'era degli alibi. Ma non si tratta di "approvazione dell'happy hour" o di desiderio impellente di fare la spesa all'esselunga prima delle 19. Faccio la mia fila e spero che la porta non mi si chiuda sulle dita.

1 commento:

  1. Ciao Franci.
    Post interessante il tuo. Frutto di una piccola contraddizione, forse.
    Se quel che scrivi è quel che senti, non rientri, evidentemente, nella categoria dei "neogiuristi" che mi fanno (ci fanno) venire le bolle.
    Chissà perché tu, in qualche modo, ti sia sentita chiamata in causa dal mio http://lucyofftheblues.blogspot.com/2011/08/belin.html...
    Fortunatamente, alla tua età i sogni sono ancora disponibili. Se stai impostando le tue scelte sulla scia di una passione, seppur maturata di recente e non cinque anni fa, va bene così, senza (bisogno di) parole.
    Perché a vent'anni è tutto chi lo sa.

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