mercoledì 30 marzo 2011

I tag della Mission

Ok. Questo post va scritto ora, a caldo. Non tanto perchè non voglio lasciar raffreddare le mie impressioni su questa serata, quanto perchè domani mi sarò già dimenticata tutto, quindi scrivo, così poi rileggo e mantengo viva la memoria (insieme a V., la mia coscienza storica...).
Allora. Andrei per gradi. Anzi, per tag. Dunque.
I TAMARRI
Non mi ricordo dove eravamo di preciso, ma stavamo andando verso Gallarate per prendere l'autostrada. Io guidavo. C. e V. sono scoppiate improvvisamente a ridere perchè due tamarri, da una panda blu vecchio modello, avevano cominciato ad ammiccare verso di noi. Erano due tamarri di lunga esperienza, avranno avuto più di 30 anni (che è un pò troppo per conciarsi ancora così, lasciatevelo dire...). Erano modelli full optional: canottiera (uno nera e uno bianca), tatuaggio sulla spalla , capello unto. Di più non ho visto, anche perchè ho iniziato uno slalom tra i camion per seminarli.
IL CAVALLO
Dopo due ore di coda tra autostrada e superstrada, vi assicuro, il cervello comincia a fare cilecca. Il nostro ha iniziato quando abbiamo visto un camion per il trasporto cavalli. Tutto è partito dall'affermazione: "in un film, l'eroina avrebbe abbandonato la macchina in mezzo alla strada, avrebbe raggiunto il camion di corsa (che non era un'impresa impossibile, dato che stavamo andando a due all'ora...), avrebbe liberato un cavallo bianco con criniera fluente (stile Vidal per intenderci...) e sarebbe andata a Milano così" (solo che lei, nel nostro immaginario avrebbe dovuto raggiungere l'uomo della sua vita...). Abbiamo apportato ulteriori miglioramenti alla storia osservando che, in effetti l'eroina non avrebbe seguito la strada...ma, saltato il guard rail, avrebbe raggiunto la città cavalcando nel campo che costeggiava la strada...Pianura Padana in libertà. Che poi io dico "Si, ma se lo facessimo noi ci perderemmo...matematico!". E V., pragmatica: "Ma abbiamo il Tom Tom!".
ROMBO DEL MOTORE...SEXY
Esasperate dalla coda e un pò scoraggiate dal ritardo abissale che stavamo accumulando, ci siamo lasciate prendere dall'emozione e, lungo la tangenziale, abbiamo (meglio...ho) sorpassato una lentissima macchina giudata da una vecchietta.
Ora, sembra una scemata a dirsi, ma la mia macchina ha un bottoncino dietro il pedale dell'acceleratore schiacciando il quale si inserisce il Turbo (la marcia scala e il motore riceve più potenza, per effettuare il sorpasso). Ecco, ho inserito il Turbo e delle sconvolte C. e V. mi fanno: "Che rombo!". E io: "Sexy, eh?".
FEDERICO
Mission compiuta! Siamo arrivate con un'ora di ritardo (d'altronde le vere dive arrivano sempre in ritardo...), ma forse è stato meglio così. Abbiamo avuto a disposizione un'ora (forse più) per chiaccherare in maniera informale, per commentare il libro, e per bere un bicchiere di spumante.
Ci siamo trovati tutti d'accordo sull'incredibile clima subtropicale della Rizzoli. Io avrei messso due palme ornamentali, un paio di pappagalli e avrei servito un cocktail fortemente alcolico in un mezzo ananas...
Abbiamo avuto modo di fare tante domande e confrontare vedute ma....mi sono dimenticata di fare la domanda più importante, quella che mi stava sul groppo da quando ho comprato "Studio Illegale"!
Ma Duchesne...come cavolo si pronuncia?! No, sul serio...è una cosa che mi assilla (mi assillava di più prima, ora che conosco il nome dell'autore meno...) perchè se devo consigliare a qualcuno un suo libro mi trovo in un certo imbarazzo a non saper pronunciare il nome o a pronunciarlo sbagliato...
Comunque è stato piacevole vedere Giuseppe dal punto di vista del suo creatore... Quando ha detto "alla fine Giuseppe non cambia perchè volevo che rimanesse così, mi piaceva troppo", mi sono trovata d'accordo...cioè Giuseppe è Giuseppe ed è così, se cambiasse sarebbe solo un altro personaggio redento. Anche a me piace di più così. Anche perchè, lo ammetto, ero scettica, quando avevo letto che il protagonista del nuovo libro sarebbe stato Giuseppe. Lo credevo una macchietta. Pensavo che non sarebbe stato in grado di sostenere tutta una storia da solo...Invece è stato all'altezza della situazione. Certo, ci sono molte differenze, se vogliamo confrontarlo con l'Andrea di "Studio Illegale".  Se vogliamo dirla tutta nel primo libro erano descritte delle situazioni incredibilmente comiche nella loro amarezza, nel secondo erano descritte delle situazioni incredibilmente amare nella loro comicità.. non so se mi spiego. Comunque tutti i punti (a parte la pronuncia del nome) sono stati chiariti a voce.
VUOI METTERE?
Dopo l'incontro, era d'obbligo la schifezzocena da Mc Donald's.
Ho fotografato l'incredibile tristezza delle persone che cenavano da Mc Donald's...tutte sole (v. album "Un momento" su fb). Uomini, donne, giovani, vecchi, incravattati, barboni... soli. In un momento di telepatia abbiamo tutti pensato all'Andrea di "Studio Illegale, che mangiava la pizza da solo (quando lo leggevo mi veniva sempre voglia di dirgli: "Vengo io a farti compagnia! Parliamo un po'!").
Comunque. Cenando M. ci ha chiesto se eravamo andate a Milano in treno. "No," abbiamo risposto "siamo venute in macchina." Allora M. ci ha spiegato che lui prende sempre il treno per andare a Milano, è comodo e non si subisce il traffico (coltello nella piaga..). Io l'ho guardato e ho risposto: "Vero, ma...Vuoi mettere?" (cit. da...?).
Un pensiero è andato anche a R. che, se ci fosse stato, avrebbe sicuramente detto: "Piantatela di fare pollaio!" (in effetti stavamo facendo talmente tanto pollaio che ce lo siamo dette da sole...deformazione professionale...).
TENDI A DESTRA
Rientro a casa e momento di panico quando il Tom Tom si rifiuta di collegarsi al satellite. Io non avevo idea di come arrivare in autostrada da Piazza Borromeo.
Ora, le Women on a Mission hanno studiato un MNB (metodo di navigazione brevettato): V. tiene in mano il Tom Tom e mi dice cosa devo fare. Io guido ed eseguo (ultimamente ci siamo anche specializzate nel linguaggio rallystico per indicare l'ampiezza delle curve...e non so se mi spiego...). C. tiene l'Ipod e gestisce la parte musicale del viaggio.
M. ha provato a sostituire il Tom Tom con il cellulare dotato di GPS.
Ecco, la navigazione di M. è leggermente distante da quella di V...Niente di male, ma "ora tendi a destra" non è un'indicazione di immediata interpretazione...soprattutto in una strada che svolta a sinistra!
Comunque siamo arrivati sani e salvi, ognuno alla propria destinazione, dopo una giornata che ci ha portate non solo a conoscere Federico, ma anche a vedere alcuni luoghi milanesi di altissimo interesse culturale quali  lo studiolo di Enzo e...
Buona Notte!

lunedì 28 marzo 2011

Dopo qualche post semiserio ce ne vuole uno più leggero.
Vi parlerò di quanto sono stanca oggi.
Cioè, tra il cambio dell'ora e la devastante gara di ieri oggi sono davvero a terra come la gomma di una bicicletta lasciata in garage troppo a lungo...
Rendeva bene, secondo me, l'espressione usata da R. ieri sera a cena (Apollo in Autogrill, ormai un must): "Sembrava di stare in una lavatrice". Vero. 53 prove, 7 ore e un quarto di tornanti che avrebbero messo alla prova lo stomaco di chiunque, navigazione intensa, pressostati nascosti, cartelli gialli mancanti (senza parole...come Vasco...anche se in questo caso non "va bene così"...), direttori di gara maleducati...
Bella gara, davvero. Al di là della stanchezza, della lavatrice e di tutto il resto, credo che avrò un ricordo buono (e longevo) di questa manifestazione.
Pensavo di poter annoverare Salice Terme nella mia classifica personale "Comuni Sfigati d'Italia Challange" (nella quale, per ora, svettano Parona-PV- e Golferenzo-PC), ma invece ho scoperto un paese vivo, vivace e cinefilo, in quanto annovera tra i suoi locali di pregio il "Korova" (chi indovina?), il "Carlito's Way" e il "Bed".
Ciò non toglie che da una gara di campionato nazionale ci si aspetta una diversa serietà...basti dire che l'addetto alle relazioni con i concorrenti, rispondendo al nostro reclamo afferma: "Beh, ma avete un errore di qualche centesimo, non di minuti". (come direbbe qualcuno:) LEGEN...wait for it...DARY!
Spiego per i profani: una gara di regolarità, al contrario di una gara di velocità, premia la precisione. Si tratta di arrivare dal punto A al punto B in un tempo prestabilito, a bordo di un'auto storica. Alla partenza viene distribuita una tabella con tutti i tempi da rispettare (prego gli esperti che dovessero trovarsi a leggere questo post di perdonare l'approssimaizone di quanto sto scrivendo...era giusto per rendere l'idea..). La precisione viene calcolata al centesimo di secondo. Ogni centesimo in anticipo o in ritardo costituisce un punto di penalità. Per intenderci, tra il primo e il secondo classificato c'erano 3 centesimi di differenza, tra il primo e il decimo (noi) 92 (significa nemmeno un secondo...).  Come puoi dirmi, caro Addetto alle relazioni con i concorrenti "Beh, ma avete un errore di qualche centesimo, non di minuti"??? Come puoi, tesoro caro, rispondermi, dopo che io ti ho detto "Abbia pazienza, però la regolarità si gioca sui centesimi!", "Io faccio regolarità da 20 anni!"??? Con quale coraggio, dopo che mi hai esclusa dalla clasifica navigatori senza nemmeno consultare il direttore di gara? Dopo che mi hai guardata con schifo e, alla mia domanda "come?" perchè non avevo capito le idiozie che stavi dicendo, mi hai risposto "A lei non interessa."???
E' perchè sono una donna? E' perchè abbasso l'età media? E' perchè ho la faccia da Alice? Mah..
Ricordo che a Lumezzane, l'anno scorso, quando sono andata da G. dicendo che eravamo diventati TOP (TOP driver- non rider, come sostiene la giornalista della Prealpina- significa tenere, in gara, una media di penalità inferiore a 5 centesimi), lui mi aveva detto (un pò pomposamente, non se ne abbia a male...)  "Complimenti, benvenuti nell'Olimpo, ora avete voce in capitolo". Beh non mi sembra di avere tutta 'sta voce in capitolo...non ho voce in capitolo nemmeno con A. (il Lato Oscuro della Forza..) che pensa di classificarsi Driver A. dopo una gara (Driver A=media di penalità inferiore a 10 centesimi)- e la cosa mi ruga da morire.
Per concludere lo sfogo: G., ti farò sapere quando arriverà il giorno in cui avrò voce in capitolo...

Scelgo di sentire

Se vi dicessero che prendendo una pastiglia sparirebbe il dolore, voi accetereste di prenderla?
E se la cura vi anestetizzasse non solo dal dolore fisico, ma anche da quello emotivo?
Una figata, direte voi.
No, un'inferno, dico io.
Sabato pomeriggio ero in viaggio verso la ridente cittadina di Rivanazzano Terme per una gara di campionato. I Pod nelle orecchie e Pianura Padana sullo sfondo. Avrei potuto liberare i miei pensieri verso qualunque destinazione.
Invece niente. Non sentivo la musica (sentire nel senso di FEEL, non nel senso di LISTEN TO). Mente annebbiata, ricordo faticoso, sensazione di smarrimento.
Ho avuto paura. Paura di finire come prima, una bambola vuota, un involucro.
Anche l'altra volta aevo cominciato a non sentire più la musica ed avevo finito col non sentire più niente di niente: niente dolore, è vero, ma anche niente gioia, niente pensieri, niente ricordi. Arrivare cronicamente in ritardo, dimenticare dove sono, cercare una me stessa uscita di casa senza avvertire, sono sensazioni che non voglio provare mai più.
In questo periodo mi sono riaccesa. Ogni mese che passa mi sento sempre più piena di me (nel senso che quella me stessa che se n'era andata sta tornando, ogni giorno più intensa, a riempire il mio involucro vuoto).
Ho paura di svuotarmi di nuovo, di perdere quella costante sensazione di angoscia che provo alla bocca dello stomaco, perchè anche se è fastidiosa, anche se mi fa pensare che tra qualche mese mi verrà l'ulcera, mi fa sentire viva. Finchè sento quel piccolo tarlo. Forse è vero che la gioia è indissolubilmente legata al dolore: eliminando l'uno si elide anche l'altra. Mi è venuto in mente (sempre in macchina, l'altro giorno) il mito della caverna (Platone, mi pare): gli uomini vivono incatenati all'interno di una caverna buia e profonda. Uno riesce a liberarsi, esce e vede il sole. Ecco, mi sono sentita come quell'uomo: ora che ho visto il sole non ha nessun senso tornare nella caverna, tanto meno ne ha tornarci di mia spontanea volontà.
Eravamo al Mc Donald's di Busto Arsizio e V. mi ha chiesto cosa preferissi tra un vuoto senza dolore e la vita che ho scoperto di avere. Ho avuto un'esitazione, sul momento. Ma non sentire la musica mi ha fatto talmente impressione che ora la risposta è palese: preferisco sentire tutto, come un'onda violenta. Voglio sbattere con la maggior forza possibile contro le delusioni che la vita mi riserverà, voglio schiantarmi contro le soddisfazioni, voglio essere travolta da ogni passione, sana o insana, che vorrà visitare la bocca del mio stomaco ("I want the jaw dropping, eye popping, head turning, body shocking" come dice Katy Perry in altro contesto...)
Non sentire dolore non è un prezzo sufficiente da pagare per non sentire la vita.

mercoledì 23 marzo 2011

Tema

Tema: L'amico è...
Svolgimento:
"L'amico è qualcosa che più ce n'è meglio è" (lo diceva Baldan Bembo). Non sono necessariamente d'accordo. Cioè posso anche essere d'accordo sul "silenzio che vuol diventare musica", ma sul "più ce n'è meglio è" no.
L'amico, senza dubbio, è qualcosa di difficile da trovare e viene prodotto in limited edition...tipo borsa Birkin di cocco (lo dice una che ha preso una certa quantità di bidoni...); almeno se l'amico in questione deve rispondere ai nostri standard (meglio, ai miei...io ho degli standard molto elevati).
Pretendiamo che l'amico ci segua in tutto ciò che facciamo, che sia sempre daccordo con noi, che ci assecondi...senza riflettere sul fatto che spesso non siamo in grado di offrire reciprocità.
Per questo, mi ha colpita la frase "guardarsi allo specchio è come guardarsi pensare" (Il cielo sopra Berlino). Ecco per me guardare un amico deve essere come guardarmi allo specchio, come guardarmi pensare.
E a volte, quando siamo sedute al bar davanti ad un caffè la mattina, quando condividiamo un'emozionante avventura, o quando litighiamo sul consenso nel contratto di opzione (sul quale sono sempre sicura di avere ragione ;) ), vedo i miei pensieri incredibilmente riflessi nei tuoi. E penso: allora è questa l'amicizia.

lunedì 21 marzo 2011

Una cosa inevitabilmente incompleta

Volevo fare una bella introduzione a questo post. Ci ho pensato a lungo. Ho anche cominciato a scrivere ma poi ho cancellato tutto. Voglio venire al dunque senza troppi indugi.
Avrei dovuto dire qualcosa tipo: "l'altro giorno ho visto un film...", invece dico: "l'altro giorno ho letto un film".
Ogni tanto mi sorprendevo ad ascoltare con attenzione le battute ad occhi chiusi (non stavo dormendo...). Ne ho anche segnata qualcuna su un quaderno (veramente ne ho segnate molte..) ma mi rendo conto che non mi serve rileggerle perchè quelle più significative me le ricordo a memoria.
Premetto che avevo intenzione di approcciarmi alla visione senza farmi influenzare da commenti esterni, ma ho voluto leggere almeno la trama. Ecco mi trovo in disaccordo sia con la trama che ho letto sia con tutti i commenti che ho cercato in seguito.
La prima impressione su "Il cielo sopra Berlino" (Wim Wenders- 1987) è che sia un film da leggere, appunto. In realtà riflettendoci ha delle caratteristiche che rendono imprescindibile la sua natura cinematografica, prima fra tutte l'incredibile gioco cromatico. Cioè, è semplicistico dire che gli angeli vedono in bianco e nero e quando il protagonista diventa umano vede i colori. In realtà il color seppia (non bianco e nero) è stato studiato dal direttore della fotografia con estrema attenzione. Penso che sia espressione del fatto che gli angeli non vedono il mondo senza colori, ma semplicemente con colori diversi.
Ci sono pochi sprazzi di colore in tutto il film, ma il più intenso è alla fine, quando Marion tiene il suo discorso, vestita di rosso. Emblematico, passionale, pieno di speranza, il rosso.
Il mondo degli angeli è un mondo di pensieri. Ci ho riflettuto molto. Un mondo fatto solo di pensieri (in stile "What women want"), niente parole, niente superfluo. Ho letto una critica sul fatto che gli angeli vivessero in un mondo separato e senza contatto rispetto a quello umano, quasi fossero esseri inutili. Non sono d'accordo sotto nessun punto di vista: trovo anzi che l'intento fosse quello di rappresentare entità separate sì dagli uomini, ma in contatto con la loro parte più intima e segreta, angeli custodi perchè custodiscono (in senso civilistico, non in senso religioso perchè il loro compito non è in effetti preservare e consigliare tipo grillo parlante) le esperienze e i pensieri delle persone. Ci ho pensato quando ho visto la scena in cui entrambi gli angeli sono seduti su una bella decapottabile e si raccontano ciò che hanno visto durante la giornata, piccoli fatti insignificanti accaduti a gente qualunque. "Un cieco si è accorto della mia presenza e ha guardato l'orologio". Ecco, secondo me questa scena lascia intendere anche altre cose: per esempio la curiosità di Damiel per il mondo "mortale". Bello. Bello perchè è una curiosità rivolta al quotidiano, a quelle piccole cose che compongono la vita come piccoli tasselli di un mosaico (che metafora banale che mi è uscita...), quelle cose che a noi ormai sembrano banali, non ci facciamo caso, ma sono quelle che rendono noi...noi.
E anche qui la critica (la dottrina maggioritaria) sostiene che sia l'amore per Marion a spingere Damiel a scegliere la vita mortale, in realtà io penso che sia la voglia di conoscerlo meglio questo mondo, di capirlo, di comprendere la gioia quanto la sofferenza (infatti la prima esperienza come Uomo è legata al sangue), di sentire un contatto non necessariamente con una donna. Emblematica in questo senso è la scena in cui Damiel incontra Peter Falk. E' ancora un angelo e l'attore gli allunga una mano e lo chiama "Companhero". In quella stretta di mano ultradimensionale c'è un immenso bisogno di contatto. Così come nei disegni di Peter Falk, che si ostina a fare ritratti per cogliere ogni imperfezione, ogni particolarità nel volto delle persone ("che viso carino" dice di una signora grassottella, col naso a patata e gli occhi stretti). Che poi, voglio dire, qui il signor critico ha commesso un erroraccio da segnare in blu...Dice che quella stretta di mano era dovuta al fatto che Falk si era accorto della presenza di Damiel. Ecco, deve essere andato in bagno prima della fine del film, perchè in una scena successiva Falk ripete la medesima battuta e gli stessi gesti al vuoto ma, secondo me, non perchè ha percepito la presenza anche di Cassiel. Falk ripete in maniera assolutamente automatica, come se provasse una battuta. Come si dice "la malizia sta nelle orecchie di chi ascolta", Damiel ha sentito il calore che voleva sentire.
Sullo sfondo di questa storia appena accennata c'è la Berlino del 1987, c'è il muro e c'è la biblioteca. La biblioteca rappresenta il tempio della cultura, il luogo in cui forse lo scambio tra angeli e uomini può avvenire in maniera più soddisfacente (anche la metropolitana, secondo me... :)). Il muro è sempre presente, con i suoi graffiti, e spesso è associato alla presenza di bambini o di anziani (mi è venuta in mente, mentre guardavo il film, una scena di "Sid e Nancy", quella finale, in cui Sid, in una specie di sobborgo fatiscente incontra dei bambini e ballano insieme). E Berlino...beh è imprescindibile il trascorso storico, la Guerra Fredda e tutta l'atmosfera...l'atmosfera di sospensione temporale, come un'attesa (e qui ho pensato a due cose: agli Skorpions che solo un paio di anni dopo avrebbero cantato "Wind of Change" sulle macerie del muro e alla prof M. che, durante la prima lezione di Pubblico Comparato ci ha spiegato che il presente della Germania è indissolubilmente legato al suo passato).
Ho tenuto per ultimo il commento sul mio personaggio preferito: Homer, anche se secondo me Omero rende meglio l'idea. Un vecchietto che racconta, la memoria storica di Berlino, la sua coscienza. Omero è un contatto col passato, un testimone, ma non come il muro, simbolo di ciò che va dimenticato e cambiato. No, Omero è più una voce che racconta ciò che va ricordato, con la speranza che chi verrà dopo saprà portare avanti la sua testimonianza, che non per niente è trasmessa sottoforma di poema epico con tanto di Proemio ("Narra, Musa del narratore, l'antico bambino gettato ai confini del mondo, e fa' che ognuno in lui si riconosca". Ok, questa l'ho letta dal quadernino, ma di Omero ne ho segnate un sacco!).
Last but non least. Il film è tappezzato di versi della poesia "Lied vom Kindsein" di Rainer Maria Rilke che ha cominciato a farmi riflettere alla seconda strofa "Quando il bambino era bambino, /non sapeva d'essere bambino (...)".
In realtà c'è un'altra frase che mi ha acceso una lampadina (Marion- "guardarsi allo specchio è come guardarsi pensare") ma qui si apre tutto un altro discorso che riprenderò in un post successivo...
Ecco. Devo aggiungere che ho avuto una giornata devastante, che sono tre giorni che penso a questo post e che non sono riuscita ad inserire tutto quello che avrei voluto ma, dal mio punto di vista questo è sintomo del fatto che questo film ha colto nel segno: penso che se dovessi commentare il mio film preferito, sul quale ho rimuginato per anni e che conosco quasi a memoria, colonna sonora compresa- anzi soprattutto la colonna sonora- otterrei una cosa simile...inevitabilmente incompleta.

venerdì 18 marzo 2011

Non mi è mai piaciuto il tango

Si, diciamolo, ballare non è proprio il mio forte...Ma il tango è sempre stato un ballo che mi da particolarmente i nervi. Una danza rigida, impostata, una passione come per forza.
Questo per dire...avete mai visto "Ultimo tango a Parigi"? 1972, Bernardo Bertolucci.
Io l'ho visto l'altro giorno dopo un periodo di riflessione scettica in merito. In realtà prima di commentarlo avrei voluto riservarmi di guardarlo una seconda volta, ma in questi due giorni mi ha ronzato in testa così tanto che non ho potuto fare a meno di scrivere questo post.
Ho diviso idealmente (e in realtà anche materialmente..) il film in due parti "pre-burro" e "post-burro" (chi l'ha visto comprende...). La prima parte è un pò lenta, molti monologhi, qualche tempo morto. In effetti è tipico di Bertolucci alternare scene di grande carica emotiva a scene dove l'attenzione dello spettatore quasi si perde (basta guardare "Novecento" o "The dreamers"..ma più "Novecento", perchè in "The Dreamers" l'attenzione persa non la si ritrova più...) per poi dare una scossa violenta con un colpo di scena o con la colonna sonora.
In "Ultimo tango a Parigi" la colonna sonora (famosissima)  è effettivamente un pilastro di tutta la storia, tanto che in certi passaggi si sostituisce ai dialoghi, li copre finchè non si confondono e poi si spengono. Mi viene in mente ad esempio la scena in cui Jean e il suo fidanzato sono seduti sul bordo di una fontana, lui le chiede di sposarlo e iniziano a scherzare: "Si...No...Si...No..." ad un certo punto parte la musica, nel momento esatto in cui non c'è più bisogno di parole (a volte vorrei che fosse così anche nella vita... non sai cosa dire e...Tac...parte una musica evocativa...).
La parte "post-burro" è più intensa, più ritmata: monologo-colpo di scena-monologo-colpo di scena etc. Il ritmo si coglie anche dall'alternanza dei personaggi Jean-Paul-Insieme-Jean-Paul-Insieme etc. Il tutto condito da una Parigi fuori dal tempo, cioè, il film è del '72, ma non ci sono riferimenti specifici al tempo; Jean indossa abiti vintage, le ambientazioni sono quasi tutte "art deco", come l'albergo di Paul, l'appartamento, il colonnato, perfino la sala da ballo (mi ricordava qualcosa del meraviglioso quanto spaventoso Overlook Hotel- "Shining"- che aveva la sala bar con arredamento anni '20).
Mi hanno colpita alcune macchiette umoristiche (in senso Pirandelliano), come la donna che bussa alla porta dell'hotel per avere una camera per sè e il suo gigolò (in senso pienamente Pirandelliano) o l'amante di Rosa, Marcel, che indossa una vestaglia uguale a quella di Paul, vive in una stanza uguale a quella di Paul e somiglia pure a Paul, tanto da spingerlo a chiedere a Brando: "Cosa ha spinto Rosa a tradirti con me?". O ancora la direttrice russa della sala da ballo, un vero stereotipo.
Nel suo complesso, mi è parso quanto mai lontano da un film "sulla realtà". E' senza dubbio un film "sulla passione". Ogni scena importante, ogni esperienza, ricalca con violenza un sentimento. Il film si allontana dalla realtà e si addentra in un mondo fatto solo di passione, è come se i confini svanissero, se la realtà non fosse più netta (come all'inizio, dove la morte- di Rosa- ancorava i piedi a terra) ma sfumata in una serie di moti emotivi e spastici che nemmeno i personaggi riescono più a governare.
La cosa è particolarmente emblematica, secondo me, nella scena in cui Jean prova l'abito da sposa e parla dell' "amore pop" (devo impararmelo quel monologo...dovrò trovare occasione per citarlo...), la musica sale e lei scompare. E ovviamente alla fine, quando lei spara, chiudendo nuovamente il cerchio sulla realtà.
Che dire delle scene...hard, tanto criticate? Ecco, tralasciando il fatto che io tutto 'sto hard non l'ho visto (ho visto la versione censurata, quella da 2h e 3 min, lo dico per dovere di cronaca ma la cosa non è rilevante dal momento che la versione integrale di 3h è stata ritirata dalle sale il giorno dopo la prima cinematografica italiana e ne rimangono solo 5 copie, conservate nella Cineteca Nazionale) e che oggi come oggi è più erotica la pubblicità dello yogurt, ho notato, più che il "pansessualismo fine a se stesso" (come è stato definito dalla critica del tempo) una gran violenza nei rapporti tra Jean e Paul. Mi spiego, volenza emotiva più che fisica, come nella scena della vasca da bagno, quando lei dice "ti amo" e lui la prende a scarpate in testa. Ma per me è proprio questo aspetto manesco del loro rapporto che li unisce, è una specie di trait d'union tra loro, un segreto che custodiscono e che li rende diversi, speciali. Per questi motivi non mi sento di muovere accuse di eccesso in questo senso; anche se, alla domanda "senza quelle scene il film avrebbe avuto la stessa incisività?", la risposta probabilmente sarebbe sì (cosa che invece non si può dire di Arancia Meccanica, in cui le scene violente sono legate funzionalmente alla riuscita del film..). D'altro canto è inevitabile sfociare nel banale quando si legge che il film trae ispirazione dalle fantasie personali del regista (che mi viene da pensare...anche i film di Tinto Brass prendono spunto dalle sue fantasie personali, ma almeno lui ha la coerenza di non macherarli da cinema impegnato...), o che Bertolucci era un uomo grasso e sudato, antipatico e che sfruttava gli attori e soprattutto le attrici, cogliendole di sprpresa con scene impreviste (dal racconto di Maria Schneider sulla scena del burro)...va beh..
Per concludere...Il tango non mi è mai piaciuto e ho dedotto che non piacesse tanto nemmeno a Bertolucci, visto che i suoi personaggi lo trasformano in una specie di Dirty Dancing completamente ubriachi (tra l'altro... ma quanto somiglia Jean a Baby?!)-scherzo.
Quindi grazie a F. per avermi consigliato questo film. Chi mi consiglia la prossima pellicola su cui sproloquiare?

mercoledì 16 marzo 2011

Una buia mattina di primavera

Un medico cura il malato, non il sano. Assunto di pura logica.
C'è qualcosa di malato in un sano che pretende l'intervento di un medico. E c'è qualcosa di malato anche in uno che nasconde i sintomi per apparire sano.
C'è qualcosa di malato nell'università italiana. E se c'è qualcosa di malato nell'università italiana in generale, allora l'Insubria è terminale.
Una grande, malandata, decrepita, orgogliosa, patetica bambina che fa i capricci per non andare dal dottore.
Data la premessa in diritto, passo all'esposizione del fatto.
Sala tutor. Ne parlo spesso, ora la descrivo: è una stanza al quarto piano, piccolina, ci stanno a stento due scrivanie e tre sedie (a volte quattro, quando abbiamo ospiti..); c'è un attaccapanni appeso al muro con quattro ganci di plastica, una finestra grande con la tapparella elettrica e la veneziana; su ogni scrivania c'è un computer e una stampante, un portapenne e cancelleria varia; infine c'è un armadio un pò scassato e, elemento imprescindibile, la nostra ormai famosa stufetta elettrica. Io e gli altri abbiamo cercato di personalizzare l'ambiente:  ho appeso una meravigliosa targa della scorsa Winter Marathon, C. ha appeso la bandiera italiana e un poster (molto spassoso), R. una foto della Sardegna. Abbiamo appeso anche la bandiera svizzera perchè ci piaceva.
Oggi questa stanzetta delle dimensioni di uno sgabuzzino un pò obeso è stata il centro del mondo,  luogo da cui promanava luce.
Oggi è saltata la corrente in tutto l'edificio. Risultato: niente computer, niente telefoni, niente ascensore, niente riscaldamento (!!), ma soprattutto niente luce, visto che la tecnologia ha sentito il bisogno di invadere anche il semplice mondo delle tapparelle (solo la nostra era aperta...).
Morale della favola: la segreteria è rimasta senza energia per tutta la mattina (e probabilmente lo è ancora) e R., nel suo ufficio, nella penombra, faceva tanto il Padrino (ho riso un sacco!).
In compenso l'edificio straripava di persone con pettorine rosse che vagavano tipo formichine operose (nessuna delle quali dava l'impressione di essersi accorta del buio...) indicando crepe nei muri e macchie di muffa, bacheche sgangherate e tane di topi, insomma, tutti quei problemi che sarebbe opportuno nascondere in vista della visita del Presidente della Repubblica. Sì, perchè l'aula magna l'abbiamo già ritinteggiata, la siepe è stata tagliata, il rettorato tirato a lucido. La malata ha nascosto ad arte tutti i suoi sintomi, pronta per apparire sana e rosea alla visita del dottore. Mancano giusto quelle due o tre cose tracurabili (ormai è diventato noioso elencarle..), ma tanto l'itinerario presidenziale è prestabilito e non c'è pericolo che veda cose compromettenti. Come la muffa. O l'ascensore. O la povera stufetta elettrica. O gli studenti. E certo perchè se il Presidente della Repubblica fa visita all'Università dell'Insubria, questa fa di tutto per nascondere gli studenti, come untori di peste bubbonica, riottosi contestatori, orripilanti mutanti da fogna, e anzi cerca di tenere nascosto l'evento, sospende le lezioni e chiede che i ragazzi usino la gentilezza, se proprio dovessero trovarsi lì lunedì pomeriggio, di defilarsi nelle retrovie, e di non passare davanti all'edificio vicino all'aula magna, non sia mai che spargano il loro germe di morte sull'Autorità.
Vorrei lanciare un appello da questo piccolo blog ignorato da tutti (anzi, mi sovviene una battuta del fumetto Mafalda:"lancio un appello dalla mia seggiolina...tanto sembra che oggi come oggi l'Onu, il Vaticano e la mia seggiolina abbiano lo stesso potere di persuasione..."):
Egregio Presidente,
forse abbiamo perso di vista l'obiettivo.
Se è lecito chiedersi "che mondo sarebbe senza Nutella?", lo è ancra di più chiedersi "che università sarebbe senza studenti?". Cosa sarebbe?
Un dedalo di corridoi vuoti con pagliuzze secche spinte dalla corrente in pieno stile western. Un'accozzaglia di volumi ingialliti e muffosi le cui pagine vuote nessuno sfoglierà mai.
Un muro di cemento armato, un posto di blocco culturale, una diga che trattiene il sapere, senza nessuno a cui trasmetterlo.
Che posto triste sarebbe, Presidente, questa università senza anima, senza vivacità.
E che posto triste sarebbe il Futuro (leggi fututo indicativo: sarà) se l'universtà si ostinerà a nascondere la sua risorsa più importante, la sua benzina, i suoi studenti.
Grazie per l'ascolto.

lunedì 14 marzo 2011

In missione per conto di Dio

Bilancio della giornata: tesoro trovato, anca slogata, missione compiuta.
Le "Women on a Mission" sono sbarcate a Milano.
Ma andiamo con ordine.
La giornata comincia alle 7.30. Tapis roullant, doccia, bar, caffè, sala tutor. L'adrenalina comincia a salire quando io, V. e C. otteniamo l'indizio per trovare una copia del nuovo libro di Duchesne (abbiamo gli pseudonimi? E usiamoli!). Dobbiamo andare a Milano a cercarlo! Asslutamente! No, cioè, non c'è appuntamento con L. che tenga!
C. abbandona la nave per più amene attività con cui occupare il pomeriggio (C, non sgridarlo! <3). Io e V. ci sistemiamo sul puzzolente treno delle Nord delle 13.51 e passiamo il viaggio a discutere della natura contrattuale o meno delle concessioni amministrative (ovviamente il dibattito dottrinale "versione base" è molto avvincente ma non abbiamo potuto trattenere la fatidica domanda: "cosa avrebbe detto Sacco?").
Arrivate a Milano, la grande metropoli travolge noi provinciali e la prima sfiga mi tocca sottoforma di biglietto della metro smagnetizzato (commento della addetta ATM point:"Se hai tempo di aspettare due ore te lo sostituiscono...").
Da Cadorna meta Duomo, più precisamente Galleria. Si, perchè l'indizio portava dritto lì. Abbiamo imparato che il Signor Giuseppe Mengoni, architetto che progettò la galleria, nel 1887 morì precipitando dalla cupola della sua stessa creazione (tra l'altro...che morte orribile...brrrrr). Tentativo n.1: una libreria artistica con una bella porta. Tentativo n.2: Ricordi, Feltrinelli.
Tentativo n.3: Rizzoli. Nisba. Allora ci siamo messe in mezzo alla Galleria a cercare angeli dipinti e nomi scolpiti su targhe in autentico stile Dan Brown (mangiati la polvere Tom Hanks...tu non hai l'ipad!), salvo scoprire che il signor Rizzoli, fondatore della casa editrice, si chiamava Angelo...
Ok. Milanese. Caro il mio milanese medio. Io sarò provinciale e tutto. Sarò una persona semplice e non superfashon...ma voglio dire a cosa serve questo clima subtropicale nei negozi?! Io pensavo che i 38 gradi fossero riservati al dipartimento di diritto privato della Statale, il luogo più caldo del globo dopo l'interno dell'Etna. Invece da Rizzoli ci saranno 50 gradi e un tasso di umidità del 90%! Cioè, mi viene da sospettare che il difficile del gioco fosse non tanto trovare la copia del libro, quanto cercarla senza liquefarsi! E lo stesso da Bershka e negli altri negozi del corso! Ora capisco perchè la moda milanese costa così tanto...se devi pagare i miliardi di riscaldamento, caro Milanese...(sarà che sono abituata alla stufetta scassata dell'aula tutor...).
Tornando a noi...la commessa ci guarda male quando scatta l'urlo liberatorio da tesoro trovato (sotto l'indispensabile testo "L'inglese in 30 giorni") dopo un notevole spremimento di meningi, una consultazione assidua dell' ipad e una sauna completamente vestite.
Dopo aver prelevato le nostre copie abbiamo optato per un giro in centro dove è stato inevitabile uno scambio di gentilezze con due turisti russi in viaggio di nozze (cioè io ho immaginato che fossero russi e in viaggio di nozze...). Foto davanti al Duomo a turno: prima loro a noi poi noi a loro, da veri turisti!
Inevitabile anche il calo adrenalinico. Ho iniziato ad accusare tutte le conseguenze delle mie carenze fisiche, a cominciare da uno strappo all'altezza dell'anca che devo aver preso durante uno scatto in un momento di emozione da Feltrinelli (scatto inutile, visto che era la libreria sbagliata...).
Poi abbiamo perpetuato la lunga tradizione del panzerotto di Spizzico in stazione (niente di più malsano, niente di più soddisfacente) e abbiamo preso il treno, dove la conversazione si è spostata dal tema "Concessioni: contratti o atti amministrativi?" al tema "Concessioni: risarcimento secondo lo schema contrattuale o nessun risarcimento?". E son problemi.
Arrivate a Varese (senza accorgercene nemmeno...visto che noi due e un povero ragazzo dall'accento inglese ci siamo accorti di essere in stazione solo quando le luci del treno si sono spente...) ho messo ulteriormente alla prova le mie capacità di pilota-con-cambio-manuale guidando fino alla Valganna per ritirare la macchina di V. Dieci minuti dopo eravamo di nuovo insieme a bere crodino e mangiare tartine in un bar, tirando le somme di una giornata emozionante (e la stanchezza ha fatto abbassare il livello dei nostri aforismi che, abbiamo deciso, verranno raccolti in un libro: "Ti taggo, ovvero aforismi di due universitarie alla ventura").
Rientro a casa ore 19.45, con gamba sinistra devastata e piede gonfio ma, in saccoccia la mia copia fantastica e scintillante di "La gente che sta bene", e nella memoria una avventura metropolitana da trenta e lode!
Non ce l'ho fatta ad andare al Club stasera...avrei dovuto raccontare per l'ennesima volta del mio nuovo 300 (dovrei fare la collezione dei 300...la mia sarebbe la più vasta del mondo della regolarità...).
E quindi. Bilancio della giornata: tesoro trovato, anca slogata, missione compiuta.

venerdì 4 marzo 2011

la sfera di cristallo

La vorrei, lo confesso.
Una bolla trasparente in cui guadare il mio futuro. Perchè questa sensazione di incertezza mi uccide. O comunque favorisce l'ulcera. Perchè sento una specie di tarlo all'altezza dello stomaco, che giorno e notte scava, scava.
Questo periodo, in cui non ho altro da fare oltre la tesi, favorisce le più disparate riflessioni sul mio futuro.
C'è una pubblicità (abbastanza razzista per i miei gusti) in cui si dice che per le donne africane la parola "futuro" è la più difficile da scrivere (e a questo punto compare la rassicurante guida di una mano bianca...). Ecco, con le debite distanze, credo che la parola "futuro" sia difficile da scrivere un pò per tutti.
Perchè un giovane laureando si sente abbastanza smarrito, può permettersi di costruirsi delle speranze, delle aspettative. E poi?
Cioè, certe aspettative come si realizzano? Chi ci spiega come si fa?
Posso anche immaginare dove sarò l'anno prossimo (perchè proprio non riesco ad immaginare dove sarò tra 10 anni...), ma dato il TRM (tasso di realizzazione medio) delle mie aspettative, forse dovrei studiare un piano B di riserva...
Che poi mi sento sempre in imbarazzo quando mi chiedono "cosa farai dopo la laurea?" (nota bene: "cosa farai" non "cosa vorresti fare", come se il futuro prossimo fosse una certezza...) perchè ci sono sostanzialmente due cose che vorrei fare dopo la laurea, ma sono entrambe speranze sfocate, deboli fiammelle che bruciano solo nel mio stomaco, e che figura da presuntuosa ci faccio se non si realizzano?
Tra qualche mese posterò su questo blog la risposta a tutte queste domande. Farò come un prestigiatore che indovina la carta scelta dal volontario. Metto le previsioni in una busta che aprirò intorno a dicembre prossimo. E allora saprò se una sfera di cristallo mi serve veramente o se sono in grado di realizzare il mio futuro senza averlo visto prima (perchè realizzare una cosa già vista è troppo facile...).
Nel frattempo cerco sempre qualcuno che creda in me. Perchè sono sempre più convinta che quella fiammella che brucia la bocca del mio stomaco (più o meno all'altezza del cardias- alla faccia tua, test di medicina) sia alimentata da potenzialità inespresse.