lunedì 21 marzo 2011

Una cosa inevitabilmente incompleta

Volevo fare una bella introduzione a questo post. Ci ho pensato a lungo. Ho anche cominciato a scrivere ma poi ho cancellato tutto. Voglio venire al dunque senza troppi indugi.
Avrei dovuto dire qualcosa tipo: "l'altro giorno ho visto un film...", invece dico: "l'altro giorno ho letto un film".
Ogni tanto mi sorprendevo ad ascoltare con attenzione le battute ad occhi chiusi (non stavo dormendo...). Ne ho anche segnata qualcuna su un quaderno (veramente ne ho segnate molte..) ma mi rendo conto che non mi serve rileggerle perchè quelle più significative me le ricordo a memoria.
Premetto che avevo intenzione di approcciarmi alla visione senza farmi influenzare da commenti esterni, ma ho voluto leggere almeno la trama. Ecco mi trovo in disaccordo sia con la trama che ho letto sia con tutti i commenti che ho cercato in seguito.
La prima impressione su "Il cielo sopra Berlino" (Wim Wenders- 1987) è che sia un film da leggere, appunto. In realtà riflettendoci ha delle caratteristiche che rendono imprescindibile la sua natura cinematografica, prima fra tutte l'incredibile gioco cromatico. Cioè, è semplicistico dire che gli angeli vedono in bianco e nero e quando il protagonista diventa umano vede i colori. In realtà il color seppia (non bianco e nero) è stato studiato dal direttore della fotografia con estrema attenzione. Penso che sia espressione del fatto che gli angeli non vedono il mondo senza colori, ma semplicemente con colori diversi.
Ci sono pochi sprazzi di colore in tutto il film, ma il più intenso è alla fine, quando Marion tiene il suo discorso, vestita di rosso. Emblematico, passionale, pieno di speranza, il rosso.
Il mondo degli angeli è un mondo di pensieri. Ci ho riflettuto molto. Un mondo fatto solo di pensieri (in stile "What women want"), niente parole, niente superfluo. Ho letto una critica sul fatto che gli angeli vivessero in un mondo separato e senza contatto rispetto a quello umano, quasi fossero esseri inutili. Non sono d'accordo sotto nessun punto di vista: trovo anzi che l'intento fosse quello di rappresentare entità separate sì dagli uomini, ma in contatto con la loro parte più intima e segreta, angeli custodi perchè custodiscono (in senso civilistico, non in senso religioso perchè il loro compito non è in effetti preservare e consigliare tipo grillo parlante) le esperienze e i pensieri delle persone. Ci ho pensato quando ho visto la scena in cui entrambi gli angeli sono seduti su una bella decapottabile e si raccontano ciò che hanno visto durante la giornata, piccoli fatti insignificanti accaduti a gente qualunque. "Un cieco si è accorto della mia presenza e ha guardato l'orologio". Ecco, secondo me questa scena lascia intendere anche altre cose: per esempio la curiosità di Damiel per il mondo "mortale". Bello. Bello perchè è una curiosità rivolta al quotidiano, a quelle piccole cose che compongono la vita come piccoli tasselli di un mosaico (che metafora banale che mi è uscita...), quelle cose che a noi ormai sembrano banali, non ci facciamo caso, ma sono quelle che rendono noi...noi.
E anche qui la critica (la dottrina maggioritaria) sostiene che sia l'amore per Marion a spingere Damiel a scegliere la vita mortale, in realtà io penso che sia la voglia di conoscerlo meglio questo mondo, di capirlo, di comprendere la gioia quanto la sofferenza (infatti la prima esperienza come Uomo è legata al sangue), di sentire un contatto non necessariamente con una donna. Emblematica in questo senso è la scena in cui Damiel incontra Peter Falk. E' ancora un angelo e l'attore gli allunga una mano e lo chiama "Companhero". In quella stretta di mano ultradimensionale c'è un immenso bisogno di contatto. Così come nei disegni di Peter Falk, che si ostina a fare ritratti per cogliere ogni imperfezione, ogni particolarità nel volto delle persone ("che viso carino" dice di una signora grassottella, col naso a patata e gli occhi stretti). Che poi, voglio dire, qui il signor critico ha commesso un erroraccio da segnare in blu...Dice che quella stretta di mano era dovuta al fatto che Falk si era accorto della presenza di Damiel. Ecco, deve essere andato in bagno prima della fine del film, perchè in una scena successiva Falk ripete la medesima battuta e gli stessi gesti al vuoto ma, secondo me, non perchè ha percepito la presenza anche di Cassiel. Falk ripete in maniera assolutamente automatica, come se provasse una battuta. Come si dice "la malizia sta nelle orecchie di chi ascolta", Damiel ha sentito il calore che voleva sentire.
Sullo sfondo di questa storia appena accennata c'è la Berlino del 1987, c'è il muro e c'è la biblioteca. La biblioteca rappresenta il tempio della cultura, il luogo in cui forse lo scambio tra angeli e uomini può avvenire in maniera più soddisfacente (anche la metropolitana, secondo me... :)). Il muro è sempre presente, con i suoi graffiti, e spesso è associato alla presenza di bambini o di anziani (mi è venuta in mente, mentre guardavo il film, una scena di "Sid e Nancy", quella finale, in cui Sid, in una specie di sobborgo fatiscente incontra dei bambini e ballano insieme). E Berlino...beh è imprescindibile il trascorso storico, la Guerra Fredda e tutta l'atmosfera...l'atmosfera di sospensione temporale, come un'attesa (e qui ho pensato a due cose: agli Skorpions che solo un paio di anni dopo avrebbero cantato "Wind of Change" sulle macerie del muro e alla prof M. che, durante la prima lezione di Pubblico Comparato ci ha spiegato che il presente della Germania è indissolubilmente legato al suo passato).
Ho tenuto per ultimo il commento sul mio personaggio preferito: Homer, anche se secondo me Omero rende meglio l'idea. Un vecchietto che racconta, la memoria storica di Berlino, la sua coscienza. Omero è un contatto col passato, un testimone, ma non come il muro, simbolo di ciò che va dimenticato e cambiato. No, Omero è più una voce che racconta ciò che va ricordato, con la speranza che chi verrà dopo saprà portare avanti la sua testimonianza, che non per niente è trasmessa sottoforma di poema epico con tanto di Proemio ("Narra, Musa del narratore, l'antico bambino gettato ai confini del mondo, e fa' che ognuno in lui si riconosca". Ok, questa l'ho letta dal quadernino, ma di Omero ne ho segnate un sacco!).
Last but non least. Il film è tappezzato di versi della poesia "Lied vom Kindsein" di Rainer Maria Rilke che ha cominciato a farmi riflettere alla seconda strofa "Quando il bambino era bambino, /non sapeva d'essere bambino (...)".
In realtà c'è un'altra frase che mi ha acceso una lampadina (Marion- "guardarsi allo specchio è come guardarsi pensare") ma qui si apre tutto un altro discorso che riprenderò in un post successivo...
Ecco. Devo aggiungere che ho avuto una giornata devastante, che sono tre giorni che penso a questo post e che non sono riuscita ad inserire tutto quello che avrei voluto ma, dal mio punto di vista questo è sintomo del fatto che questo film ha colto nel segno: penso che se dovessi commentare il mio film preferito, sul quale ho rimuginato per anni e che conosco quasi a memoria, colonna sonora compresa- anzi soprattutto la colonna sonora- otterrei una cosa simile...inevitabilmente incompleta.

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