martedì 22 maggio 2012

Chi si fa poche domande avrà tutte le risposte

Il titolo di questo post è una citazione, direttamente da "Figli degli hamburger" degli Ex otago. Breve ritratto della generazione dei trentenni allo sbaraglio: quelli che si fanno troppe domande e non ottengono alcuna risposta e quelli che se ne fanno poche (e spesso sono quelle sbagliate) che ottengono almeno la risposta a quelle più scontate. Comunque il pretesto per cominciare lo prendo da un'altra canzone che vi consiglio di ascoltare: "Non siamo gli alberi" Dimartino, Picicca records, 22/05/2012. 
Avete mai pensato al duplice significato della parola "abbandonarsi"? Non parlo del verbo abbandonare, quello di significato ne ha uno soltanto e non è neanche tanto bello. Ma abbandonarsi ha due significati (almeno, due che io sappia, magari ne ha di più..): uno direttamente derivato dal suddetto verbo, ovvero (usato nel significato corrente dell'avverbio, non in quello giuridico) lasciarsi, distaccarsi, abbandonarsi appunto, reciprocamente. L'altro è sì derivato dal significato tradizionale, ma traslato su un piano più, come dire, introspettivo, interiore, interinale, intestinale: abbandonare qualcosa di se stessi, tipo le proprie ancore emozionali, lasciarsi andare, mollare le zavorre della razionalità per evadere verso una realtà interna più leggera. E in questo senso allora sì, "sarebbe bello non lasciarsi mai, ma abbandonarsi ogni tanto è utile", come dice Dimartino (tra parentesi, lunedì 11, in apertura del MIAMI serata di musica e boesia presso il circolo arci Bellezza di Milano con, tra gli altri, Dimartino che leggerà alcuni brani dal libro "cosa volete sentire", non bisogna mancare!). A. dice che è utile abbandonarsi ogni tanto anche nel primo senso, e forse un pochino ha ragione (ma solo un pochino). Abbandonarsi ogni tanto da la possibilità di mancarsi. Ma non andrei oltre, nell'abbandonarsi, se no è troppo. Che poi, sinceramente nutro anche dei dubbi sull'utilità di abbandonarsi nel secondo senso, oltre un certo limite. Ne parlavamo oggi in treno. Tra gli zombie e i fantasmi che aprivano la porta del bagno, con la luce di un tramonto dorato, dicevamo, con somma gioia dei nostri compagni di viaggio, che non è facendo la cosa giusta che ci si salva (da noi stessi, claro). No, è il nostro istinto che ci dice cosa dobbiamo fare, perchè lancia dei segnali, che di solito vengono recepiti direttamente dal nostro personalissimo karma, che ci fanno capire ciò di cui abbiamo bisogno. Tranquillità, amore, tenerezza, emozione, brivido, stabilità, equilibrio...
Nella mia testa c'è una grande confusione. Più o meno come in camera mia, come sulla panca della cucina, dove ho ammassato tutti i libri e gli appunti, come nella stanza delle necessità di Harry Potter. E' una stanza segreta dove finiscono le cose dimenticate, dove c'è sempre quello che si cerca, dove si trova sempre ciò di cui si ha bisogno. Nella mia testa c'è quello di cui ho bisogno. C'è, lo so. E lo sa anche il mio istinto, lo sa il mio karma. Ma la mia dimensione conscia vive meno serenamente questa pseudoconsapevolezza. Una volta C. mi ha detto che quando il nostro fisico è molto sotto pressione, si può tirare la corda fino ad un certo punto. Poi si ferma. Da solo e senza preavviso. Se non ti fermi da solo, ti ferma lui. Ecco, io credo di trovarmi in una fase simile. Il mio cervello è saturo. E allora si ferma. Il problema è che è saturo di scemenze e di cose sconclusionate, come mucchi di libri polverosi che uno si ostina a tenere nella consapevolezza che non li leggerà mai. E questa saturazione di scemenze lo porta a rallentarsi anche con riguardo alle cose serie, per esempio il mio futuro. Parlavmo anche di questo in treno, tra gli zombie, del nostro futuro, del fatto che nella vita c'è un tempo per formarsi ed un tempo per contribuire. Noi siamo in mezzo. Divisi tra la necessità di formarci ancora e il desiderio di cominciare a contribuire. D'altronde lo sapevamo che questa scuola è una gara di resistenza. Non si può mollare ora, bisogna andare avanti, bisogna tenere duro, bisogna mordere più forte. Facile dirlo, difficile farlo (soprattutto con il cervello spento). Forse dovrei prendermi una vacanza, lunga, da sola e con il cellulare spento, senza facebook, senza internet, in un posto tranquillo, possibilmente frequentato solo da persone anziane. Leggere, dormire, non parlare, mangiare, dormire ancora, scoprire piacere nelle cose estremamente semplici, le venature del petalo di un fiore, l'odore di un asciugamani pulito, il profumo del cappuccino che entra dalla porta della camera la mattina, un raggio di sole che filtra dalle nuvole dopo la pioggia e il suono cristallino della chitarra. E forse il mio cervello si riaccenderà. Una mattina mi sveglierò e ci troverò dentro le risposte a tutte le domande che mi premono alla bocca dello stomaco. Perchè non posso avere un lavoro normale, perchè non riesco meglio in quello che faccio, perchè non trovo il coraggio di prendermi quello che voglio, perchè cerco ancora qualcuno che mi salvi invece di salvarmi da sola, perchè rimpiango ancora i fili rossi spezzati senza darmi pace, perchè ogni tanto torna al mio cuore il rigurgito di un ricordo doloroso, perchè sento spesso l'odore dell'umido e dei ragni della soffitta, perchè Delfini è così noioso e non ci fa lezione la Tagliaferri, perchè il tempo è così troppo spesso troppo poco, perchè faccio sempre quello che dicono gli altri invece di capire cosa è meglio per me, perchè per prendere l'iniziativa è necessario aspettare ancora un altro sogno?

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