Se vi dicessero che prendendo una pastiglia sparirebbe il dolore, voi accetereste di prenderla?
E se la cura vi anestetizzasse non solo dal dolore fisico, ma anche da quello emotivo?
Una figata, direte voi.
No, un'inferno, dico io.
Sabato pomeriggio ero in viaggio verso la ridente cittadina di Rivanazzano Terme per una gara di campionato. I Pod nelle orecchie e Pianura Padana sullo sfondo. Avrei potuto liberare i miei pensieri verso qualunque destinazione.
Invece niente. Non sentivo la musica (sentire nel senso di FEEL, non nel senso di LISTEN TO). Mente annebbiata, ricordo faticoso, sensazione di smarrimento.
Ho avuto paura. Paura di finire come prima, una bambola vuota, un involucro.
Anche l'altra volta aevo cominciato a non sentire più la musica ed avevo finito col non sentire più niente di niente: niente dolore, è vero, ma anche niente gioia, niente pensieri, niente ricordi. Arrivare cronicamente in ritardo, dimenticare dove sono, cercare una me stessa uscita di casa senza avvertire, sono sensazioni che non voglio provare mai più.
In questo periodo mi sono riaccesa. Ogni mese che passa mi sento sempre più piena di me (nel senso che quella me stessa che se n'era andata sta tornando, ogni giorno più intensa, a riempire il mio involucro vuoto).
Ho paura di svuotarmi di nuovo, di perdere quella costante sensazione di angoscia che provo alla bocca dello stomaco, perchè anche se è fastidiosa, anche se mi fa pensare che tra qualche mese mi verrà l'ulcera, mi fa sentire viva. Finchè sento quel piccolo tarlo. Forse è vero che la gioia è indissolubilmente legata al dolore: eliminando l'uno si elide anche l'altra. Mi è venuto in mente (sempre in macchina, l'altro giorno) il mito della caverna (Platone, mi pare): gli uomini vivono incatenati all'interno di una caverna buia e profonda. Uno riesce a liberarsi, esce e vede il sole. Ecco, mi sono sentita come quell'uomo: ora che ho visto il sole non ha nessun senso tornare nella caverna, tanto meno ne ha tornarci di mia spontanea volontà.
Eravamo al Mc Donald's di Busto Arsizio e V. mi ha chiesto cosa preferissi tra un vuoto senza dolore e la vita che ho scoperto di avere. Ho avuto un'esitazione, sul momento. Ma non sentire la musica mi ha fatto talmente impressione che ora la risposta è palese: preferisco sentire tutto, come un'onda violenta. Voglio sbattere con la maggior forza possibile contro le delusioni che la vita mi riserverà, voglio schiantarmi contro le soddisfazioni, voglio essere travolta da ogni passione, sana o insana, che vorrà visitare la bocca del mio stomaco ("I want the jaw dropping, eye popping, head turning, body shocking" come dice Katy Perry in altro contesto...)
Non sentire dolore non è un prezzo sufficiente da pagare per non sentire la vita.
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