L'argomento di oggi è la comunicazione. Io e V. abbiamo deciso che tutte queste benedette teorie che elaboriamo ogni giorno ingurgitando litri di caffè durante le ormai celeberrime riunioni della S.P.A (Studenti Perduti Anonimi) vanno rese eterne attraverso il mezzo della scrittura. Sono talmente tante che potremmo scriverci un libro (e non è escluso che in preda alla sbronza post lauream lo faremo davvero!).
Intanto mi sento di condividere qui la teoria della comunicazione. O meglio, la Teoria dello Gnorri.
La Teoria dello Gnorri si può riassumere nell'enunciato: meno dici più comunichi. A conferma di quanto sostenevo qualche tempo fa sul silenzio, commentando non mi ricordo quale film di Kieslowsky (forse La Doppia Vita di Veronica). In un silenzio c'è sempre un significato nascosto. Ciò che non dico può essere interpretato, i buchi del mio discorso possono essere riempiti dal mio interlocutore. Problema: il mio interlocutore li può riempire a sua discrezione e ammetto che il potere della telepatia funziona solo con certe persone, quindi non sempre il gioco "fill the gap" funziona. Esempio: Sono in università, piove a dirotto, tuona e lampeggia. Mando un SMS alla mamma: "Porto a casa V. perchè piove". Nelle mie intenzioni volevo comunicare: "Prendo la macchina e accompagno V. a casa sua, evitandole di prendere il pullman, perchè con questa pioggia si rischia di annegare nei tombini". La mamma ha capito "Io e V. veniamo a casa (mia) finchè non spiove". Morale mezzora dopo sono stata sommersa di SMS "dove siete?".
Ora, tralasciando il fatto che un SMS è per natura poco comunicativo, penso che siamo talmente abituati a dare certe cose per scontate, per sottintese, per ovvie, che lasciamo dei gap di pensiero alla libera interpretazione dell'interlocutore, cosa che può rivelarsi molto pericolosa.
Generalmente comunque, se usata con la testa e con consapevolezza (diciamo più che altro con dolo), la Teoria dello Gnorri funziona eccome. Mettere un silenzio al posto giusto dice più di mille spiegazioni. E' lo stesso principio per cui se qualcuno afferma e io non nego si forma una verità, si forma un giudicato. Se mando una mail e non ricevo risposta posso pensare di tutto (ultimamente sono arrivata anche a concepire storture come il silenzio assenso...la disperazione..). Se faccio una domanda e ricevo una risposta parziale (e quindi un silenzio parziale) posso cogliere in fallo il mio interlocutore. Se non scrivo una clausola in un contratto, se non inserisco un comma in un articolo, poi devo andare a far interpretare il silenzio dall'avvocato.
In quinta ginnasio, la prof di italiano ci aveva assegnato un tema sul silenzio. Io avevo visto il lato "banale" del silenzio, il silenzio in senso lato. Avevo immaginato la situazione: sono da sola e non vola una mosca, cosa provo? (detto per inciso, avevo preso un gran bel voto, e anche un giudizio molto lusinghiero...). Oggi scriverei di come le parole sono effettivamente sopravvalutate, di come a volte sia sufficiente uno sguardo per comunicare un intero concetto (e con V. capita spesso), di come sia assolutamente e imprescindibilmente inevitabile riempire i silenzi degli altri con qualcosa di nostro, di solito con i nostri perchè. Di come ci preoccupiamo continuamente di comunicare stati, messaggi, post sui blog... Ma diciamocelo: ho ricevuto molti più messaggi che mi chiedevano perchè da un pò di tempo a questa parte scrivo meno, di quanti ne abbia ricevuti per i miei frequenti post.
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